Il ricordo di Ubaldo, Ugo e Spartaco Cappuccino attaverso i racconti di Claudio Cappuccino
Ubaldo Cappuccino
Nella mia famiglia c’è sempre stata una certa tendenza al volontariato militare a partire, che io sappia, dallo zio di mio nonno Ugo Cappuccino, Ubaldo Cappuccino, classe 1846. Partecipò alla Terza Guerra d’Indipendenza, non so in quale reparto ma, in funzione di questa sua partecipazione, è stato definito veterano. Ho trovato fra i vari documenti, infatti, una lettera di pensione: evidentemente aveva maturato un vitalizio come veterano di guerra.
Ugo Cappuccino
Passando, poi, a mio nonno Ugo Cappuccino (nipote di Ubaldo Cappuccino e figlio di Leopoldo Cappuccino), nato nel 1881 nel periodo della Scapigliatura (fine ‘800).
Studiò Legge a Roma e in altre Università in maniera molto scapigliata.
Fin da subito aderì al partito socialista e collaborò all’“Avanti!”.
Fu molto attivo nella politica e, da quello che leggo sul libro “La Ultime Camicie Rosse”, partecipò anche alla settimana rossa dove gli operai, prevalentemente delle Marche, dell’Umbria e della Romagna, fecero grosse manifestazioni. In seguito a questo, fu costretto a emigrare esule a Lugano all’Albergo Bolognese.
“Finalmente a notte alta ci rendemmo all’Albergo Bolognese. Così si chiamava il nostro asilo che da un paio di mesi era la meta di quanti sfuggivano agli arresti con i quali la reazione del governo di Salandra soffocava quella rivolta ideale contro il parlamentarismo, ormai inquinato e corrotto da quindici anni di dittatura giolittiana, il quale dai seggi infeudati di Montecitorio tiranneggiava il popolo, e dai comizi delle piazze ricattava la Monarchia. Movimento insurrezionale che rimase limitato alle tre regioni, politicamente più sensibili e più accese di fede mazziniana, quali le Romagne, le Marche e l’Umbria e passato alle cronache del tempo colla denominazione di settimana rossa”.
Dal libro “Le Ultime Camicie Rosse” di Ugo Cappuccino
Lì erano radunati in tanti, tutti gli esuli non solo italiani ma anche russi. Mio nonno ne parla. Lui ha conosciuto tante persone, tra queste anche Anna Kuliscioff (compagna di Turati).
Stavano come esuli seguendo, comunque, molto da vicino, le vicende sia europee che italiane, fino a quando, nel 1914, la Germania invase il Belgio, l’Olanda, la Francia. Questo, per mio nonno e per tanti altri di allora, che avevano fondamentalmente ancora una mentalità risorgimentale, fu uno schiaffo a tutte le loro idee.
Fin da subito si creò in Francia un centro di reclutamento di volontari ideato dal nipote di Garibaldi, Peppino Garibaldi, il più grande dei nipoti e figlio di Ricciotti Garibaldi. Creò, dunque, con il supporto del governo francese, un reggimento di volontari integrato nella Legione straniera.
“Peppino Garibaldi, il più maturo di età e il più conosciuto, specialmente per i suoi precedenti militari delle campagne di Grecia e del Messico, tempra di soldato freddo e rigido e non facile agli entusiasmi, assunse con pacato animo la sua parte di Comandante in Capo. […]
Con la fermezza del suo carattere e con la ferrea volontà, come tante volte l’Avo suo, il Grande Generale, seppe rimuovere e vincere le resistenze, fugare le ingiustificate prevenzioni, e il 26 agosto, alla testa dei volontari Italiani, ancora in abiti borghesi, ma incolonnati militarmente e inquadrati per plotoni al comando di Ufficiali improvvisati, sfilò in mezzo alle acclamazioni della folla per i Boulevards di Parigi”Dal libro “Le Ultime Camicie Rosse” di Ugo Cappuccino
Molti, sia dall’Italia che dall’estero, si diressero in Francia, soprattutto in due centri, uno a Nizza e uno più a nord. Mio nonno, come dice nel libro, attraversò con altri, di nascosto, la frontiera tra Svizzera e Francia, però poi in Francia furono ben accolti e incontrarono direttamente l’allora Colonnello Peppino Garibaldi. Quest’ultimo gli chiese: “Cosa sapete fare? Cosa posso fare di voi?”. Lui disse “Ci faccia diventare dei soldati”. Allora gli rispose “Per fare questo ci vuole tempo”.
Li mandò a Nizza dove furono, in qualche modo, addestrati, e qui c’è un fatto molto particolare.
A Nizza c’erano tantissimi italiani che si erano concentrati con un’idea: pensavano che Peppino Garibaldi avrebbe creato un corpo di spedizione per andare a combattere in Istria, dove già c’erano stati dei volontari italiani che erano caduti nella guerra tra Serbia e impero austro-ungarico. In realtà, poi, questo non fu possibile: la Francia non volle sostenere questa iniziativa e, quindi, i due battaglioni della Legione straniera, creati da Peppino Garibaldi, furono mandati a combattere sulla Marna nell’Argonne (mio nonno non c’era, in quel periodo era a Nizza per l’addestramento).
In conseguenza di questo, molti dei volontari, molto rammaricati, tornarono in Patria ben accetti (probabilmente furono dimenticate le vecchie pendenze). Dopo il rientro in Italia di molti aspiranti volontari dalla Francia, ci furono molte polemiche soprattutto nell’ambito del partito socialista, che rimase, comunque, neutralista. A mio nonno questo non andava bene. Lo stesso Mussolini, che era l’allora segretario, diede le dimissioni.
Dopo moltissime polemiche, il 24 maggio 1915, l’Italia entrò in guerra.
“Il governo di Salandra, pressato dai migliori parlamentari, preoccupato dall’atteggiamento di aperta ribellione che stavano per prendere gli uomini più popolari d’Italia, fra i quali i fratelli Garibaldi, Benito Mussolini, direttore de Il Popolo d’Italia, l’amico suo più grande Filippo Corridoni, Gabriele d’Annunzio, Leonida Bissolati, Eugenio Chiesa, con tutti i Deputati e le personalità più eminenti di parte repubblicana, e impressionato dall’entusiasmo suscitato nelle piazze dal profugo deputato trentino Cesare Battisti, che da alcuni mesi pellegrinava l’Italia, vivificandovi la fiamma dell’irredentismo, ritenuto impossibile ormai il mantenimento della neutralità, denunciò il Trattato della Triplice Alleanza[…]
Il governo italiano, dopo dieci mesi di battaglie parlamentari e di polemiche politiche e giornalistiche, capì quanto gli uomini del popolo avevano intuito fin dal primo momento, e il 24 maggio 1915 dichiarò la guerra”.Dal libro “Le Ultime Camicie Rosse” di Ugo Cappuccino
Mio nonno e altri giovani umbri si presentarono come volontari proprio all’inizio del 1915 (mio nonno parlava della caserma di Spoleto, dove furono preparati).
Furono mandati direttamente nell’alta val Cordevole dove si era già cominciato a combattere sul Col di Lana. Qui c’era anche Peppino Garibaldi che, finita la sua attività sulla Marna e sull’Argonne, era rientrato in Italia. Con il grado di Colonnello aveva due battaglioni ai suoi ordini.
Furono mandati direttamente nell’alta val Cordevole dove si era già cominciato a combattere sul Col di Lana. Qui c’era anche Peppino Garibaldi che, finita la sua attività sulla Marna e sull’Argonne, era rientrato in Italia. Con il grado di Colonnello aveva due battaglioni ai suoi ordini.
Mio nonno fu inserito in un reparto di Cacciatori delle Alpi. Avevano ancora la camicia rossa che però portavano sotto la divisa normale.
“[…] il Tenente Coltellacci […] ci radunò subito intorno a lui: – «Non vi posso proibire d’indossare questa camicia che è anche la divisa tradizionale del nostro Reggimento. Noi ufficiali della Brigata Alpi portiamo qualche cosa che la ricorda (e si sbottonò la giubba, mettendone in evidenza la fodera del più bel colore scarlatto); ma non posso nemmeno permettervi di uscire da qui in codesta tenuta. I regolamenti militari lo vietano. Voi siete soldati e perciò fuori di caserma porterete tutti la giubba militare»”.
“Alla stazione di Arezzo furono accodate al nostro treno due vetture di soldati, che al nostro arrivo ci avevano salutato con una calorosa manifestazione e con evviva. Molti dalla giubba sbottonata mettevano in evidenza, come noi, la camicia rossa.”
Dal libro “Le Ultime Camicie Rosse” di Ugo Cappuccino
Come Cacciatore delle Alpi combatté in montagna, durante inverni molto pesanti, soprattutto al Col di Lana, con tutte le varie vicende che si trovano sul libro, i vari assalti e contrassalti, e poi molto a lungo la guerra di posizione, finché, poi, dopo tantissimi combattimenti, ci fu la famosa mina del Col di Lana, fatta dagli italiani.
Prima di questo, però, sempre il reparto di mio nonno dei Cacciatori, andò a combattere sulla Marmolada dove, anche qui, trovò condizioni terribili.
Mio nonno, oltre a raccontare i combattimenti, parla anche della vita che i soldati di tutti i tipi facevano in questa guerra: quello che mangiavano, quello che si dicevano, dove dormivano, la fatica, i loro dubbi, i loro problemi. Ha sempre avuto questa tendenza agli aspetti umani anche se, in realtà, era una persona molto istintiva.
Leggendo “Le ultime camicie rosse” si nota in più parti questa duplice posizione di mio nonno Ugo. Nonostante fosse volontario, interventista e decisamente propenso alla guerra, si coglie nel testo la sua radice socialista con una grande attenzione per l’uomo soldato e per tutti gli altri. Si concentra molto su questa cosa. Mi sembra importante che venga rimarcato anche perché, dopo la guerra, mio nonno era un veterano ma non aveva smentito la radice socialista come aveva fatto, invece, Mussolini. Lui era rimasto socialista almeno nella mente ma era sorretto in questa sua immagine di ex combattente veterano volontario garibaldino.
Questa, fondamentalmente, è la parte di guerra combattuta da mio nonno, fino alla fine del 1915.
Uno storico di Bologna ha fatto una ricerca molto approfondita dalla quale è risultato che mio nonno sembrerebbe essere stato mandato ad una scuola di Ufficiali, anche se sul libro risulta Caporale.
Personalmente non conosco la fine della storia di mio nonno. So che tornò a casa e fece la conversione.
Spartaco Cappuccino
Il successore di mio nonno fu suo figlio Spartaco Cappuccino, mio padre, che proprio grazie ai meriti di suo padre Ugo, riuscì a entrare nell’Accademia di Modena senza essere un rampollo di famiglie importanti o ricche – perché nonostante mio nonno fosse avvocato, certamente non si poteva considerare un benestante.
Dopo il liceo classico che fece a Foligno, mio padre entrò in Accademia e avviò la sua carriera militare che cominciò a tutti gli effetti in Libia.
Andò in Libia nel ’36 dove il governatore era Italo Balbo. Partecipò anche alla creazione, su idea di Balbo, di un corpo di paracadutisti libici locali che, poi, credo non sia mai stato utilizzato. Rimase in Libia fino al pieno scoppio della guerra, che lui combatté qui, e fu fatto prigioniero nella battaglia di Tobruch.
Mio padre, in prima linea nella battaglia di Tobruch, dovette fare un contrattacco con la sua compagnia – credo fosse Capitano allora. Questo contrattacco finì male e lui fu fatto prigioniero, come tanti altri.
Come sempre succede, le loro posizioni furono occupate dai rincalzi dalle retrovie dell’esercito italiano che furono coinvolti nel combattimento. Il Comandante della Compagnia che prese il suo posto morì in combattimento e il suo corpo fu messo nella tenda di mio padre. Dopo la battaglia, quando come sempre si fa la conta dei morti e dei caduti, trovarono nella tenda del Capitano Spartaco Cappuccino il corpo di un Ufficiale. A mia nonna, sua madre, fu mandata la comunicazione della caduta del figlio. Per diverso tempo, diversi mesi, risultò che mio padre fosse morto. In realtà, appunto, era stato fatto prigioniero e mandato in India nel campo di Bangalore dagli inglesi. Quando ci fu l’armistizio, mio padre, insieme ad altri, aderì e a quel punto fu integrato all’esercito inglese a distanza in India.
Per concludere, il problema della morte apparente di mio padre, nella battaglia di Tobruk, fu risolto diversi mesi dopo quando, credo addirittura dall’India, riuscì a far avere tramite la Croce Rossa una lettera a mia nonna in cui le spiegava quanto era successo.
Poi, fu mandato in Inghilterra, nel nord, dove, fra le altre cose, so che doveva costituire un reparto di soldati italiani per un eventuale utilizzo nella liberazione. Rimase lì diverso tempo anche a fare altre attività, fino a quando, poi, credo nel ’46, tornò in Italia e iniziò la sua carriera normale di Ufficiale che poi lo ha portato a Pesaro, nel 1954, a comandare l’allora 28° Reggimento. A Pesaro rimase anche dopo la pensione.
Claudio Cappuccino
Io, nel mio piccolo, ho continuato la dinastia della famiglia come Ufficiale degli Alpini, cosa di cui devo dire sono molto contento.
Alcune foto della mia prima nomina fatte durante i nostri elisbarchi effettuati per lo più per arrestare mezzi corazzati nemici (con i nostri cannoni da 57 senza rinculo) e immagini molto classiche delle nostre quasi quotidiane escursioni sui monti innevati.
Dopo la prima nomina, terminata alla fine del ’78, fui richiamato nel 1992, non so se casualmente, ma proprio in concomitanza dell’inizio della guerra in Jugoslavia, evento che comunque ci ha in qualche modo
interessati.
Fui, infatti, richiamato nel BTG L’Aquila della Brigata Julia e fui inviato in Carnia, quasi al confine della Slovenia, prima sede di combattimenti, dove erano in corso dei preparativi per far fronte ad ogni evenienza.
Successivamente, cessato l’allarme e l’attività addestrativa, oltre ad un aggiornamento relativo anche alle nuove armi (es. missili anticarro Milan) e altro, abbiamo effettuato un campo marciante che ci ha portato attraverso tutta la Garfagnana, da Bagni di Lucca fino a Pontremoli in Lunigiana, con attività di vario genere (Elisbarchi, ascensioni sulle cime delle Alpi Apuane, esercitazioni notturne e di altro genere compreso Combattimento nei centri abitati effettuati in un’ area addestrativa della Folgore a Villafranca Lunigiana ecc.).
Foto della SMALP di Aosta, dove noi allievi convivevamo con i marines americani, mi sembra della sesta flotta, con i quali ci confrontavamo di continuo in partite di basket e di volley che, anche se può sembrare strano, vincevamo sempre noi.