Gen. C.A. Gaetano Lanfernini
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“[…] Il Tenente fu fatto prigioniero il 2 novembre 1942. Passò 30 giorni tra il Cairo e Latrun, e da qui partì per Porto Said e poi Bombay. Il primo Natale lo trascorse nel campo di prigionia di Garandum di Clementown, incontrando alcuni pesaresi; così iniziò la vita di prigionia in Servizio Permanente Effettivo in India. […] “La guerra e la prigionia sono due stati straordinari che vive un uomo, stati innaturali che influiscono sia sulla vita individuale che in rapporto alle proprie famiglie. La guerra fa tante vittime ma ancor di più sono le conseguenze che crea sull’uomo e sulla sua psiche. Avvengono delle tragedie all’interno della grande tragedia”.[…]”

Estratto dell’intervista del 1987 a cura del Sig. Padalini Carlo, Presidente della sez. A.N.P.I. di Pesaro dal 1979 al 1991

Gaetano Lanfernini nacque a Fano nel 1920, da una famiglia di Gradara. Ebbe due fratelli: Dante (1922) e Giorgio (1931). Suo padre Sante, socialista interventista, partecipò alla Grande Guerra come volontario e, ferito da una granata sul S. Michele, rimase mutilato; alla fine della Prima Guerra mondiale, fu impiegato all’Ufficio Postale di Fano. La famiglia Lanfernini si trasferì definitivamente a Pesaro nel 1923 e qui Gaetano frequentò le scuole pubbliche e si diplomò ragioniere presso l’Istituto Bramante nel 1939.

Sportivo da sempre, si dedicò a varie discipline, tra le quali pallacanestro, calcio e nuoto insieme ai suoi amici (Severini, Sinibaldi, Cacciari, Boscatelli, Fava e Renato, Magnelli, Patrignani Marco, Giovagnoli, Dallasta, Semprini, tutti i fratelli Ghirlanda e Forlani che faceva parte del club di Loreto). Successivamente, decise di intraprendere la carriera militare con grande sorpresa e disappunto di suo padre, socialista convinto.

“Sin da piccolino, mi raccontava i fatti Storici della Grande Guerra, mi mostrava la sua giacca insanguinata, tutta bucherellata, mi parlava di superstiti e della giustezza della causa di quella Grande Guerra e mi parlava naturalmente delle sue idee socialiste, del suo mondo socialista che era certamente migliore di qualsiasi altro, cercando di educarmi alla democrazia che non c’era allora in Italia”- racconta il Generale -“D’altronde, mio padre, socialista convinto, conosceva molto bene Mussolini, in quanto erano stati assieme compagni d’avventura politica, quando erano più giovani, entrambi convinti Interventisti”.

 Per questa educazione ricevuta che lo ha sempre guidato, quando fu mandato in prigionia in India e gli Inglesi imposero l’out/out, o con Badoglio ed il Re o con Mussolini e la Repubblica Sociale, non ebbe dubbi.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il giovane Lanfernini entrò in Accademia Militare a Modena. Al termine dei due anni di Accademia, il 15 aprile 1941, fu nominato Sottotenente dei Bersaglieri, assegnato al 12° Reggimento Bersaglieri di Reggio Emilia e, successivamente, al 36° Battaglione Bersaglieri di Parma, dove rimase per alcuni mesi a addestrare la compagnia assegnatagli, composta principalmente da gente richiamata di 10 anni più grande di lui.

Il 25 dicembre, con tutto il reggimento, venne trasferito a Salerno in attesa della partenza per l’Africa che avvenne l’11 gennaio del 1942: a bordo della nave Vittoria e di altre navi, la flotta salpò da Salerno per dirigersi a Tripoli. Durante il viaggio la flotta fu colpita per ben tre volte da siluri nemici lasciando i soldati in acqua per 5-6 ore con il mare molto agitato. Le perdite furono di oltre il 50% dei trasportati. Giunsero a Tripoli il 21 gennaio 1942 e, dopo una breve permanenza a Kamala e a Garian per un periodo di assestamento e di ricostituzione del battaglione, verso aprile, cominciò l’avvicinamento assieme alle forze Italo-tedesche che avevano iniziato la seconda controffensiva in Africa Settentrionale (quella del 1942 che porterà poi a El Alamein).

Lanfernini partecipò a tutti i combattimenti da giugno a novembre con il suo reggimento, inquadrato nella Divisione Vittorio, quali Ain el-Gazala, la liberazione di Tobruck ed El Alamein. Il 27-28 giugno del 1942, la compagnia guidata dal Ten. Lanfernini si distinse per aver sventato l’attacco fatto dagli inglesi per occupare la piazzaforte di Marziomarlun. Per quel fatto d’arme, fu insignito sul campo della Croce di Ferro tedesca dal Gen. Rommel.

Il 2 novembre 1942, quando la battaglia di El Alamein volgeva al termine, il Ten. Lanfernini venne fatto prigioniero dagli Inglesi e portato ad Alessandria d’Egitto. Alcune riflessioni del Generale Lanfernini sulla sconfitta delle truppe italo-tedesche nella battaglia di El Alamein:

“la battaglia di El Alamein poteva finire se non in quel modo, nonostante la resistenza dei nostri soldati, la sensazione di disparità è avvenuta nel momento in cui, il 23 di ottobre, alle h20:40 è iniziata la preparazione di fuoco: mille pezzi che sparavano contemporaneamente. Solo vedendo avanzare tutti quei carri armati potevi percepirne la sensazione di superiorità ed è solo nell’esaminare lo schieramento che trovi l’essenza della battaglia”.

Il 3 novembre 1942, il Gen. Rommel, constatata l’impossibilità di reggere al fuoco nemico, diede l’ordine di ritirarsi a bordo dei carri armati. I soldati tedeschi presero con l’inganno e con la forza i pochi carri italiani, lasciando i soldati italiani a piedi che subito dopo furono fatti prigionieri di guerra.

Il Tenente fu fatto prigioniero il 2 novembre 1942. Passò 30 giorni tra il Cairo e Latrun, e da qui partì per Porto Said e poi Bombay. Il primo Natale lo trascorse nel campo di prigionia di Garandum di Clementown, incontrando alcuni pesaresi; così iniziò la vita di prigionia in Servizio Permanente Effettivo in India. All’interno della vita del campo di prigionia si erano creati 4 gruppi: i pochi fascisti rimasti fedeli dopo l’8 settembre; gli antifascisti, intransigenti, anche loro un piccolo gruppo; la massa composta da Ufficiali fedeli alla Patria che non desiderava essere disturbata né dai fascisti né dagli antifascisti che avevano desiderio di vendetta; gli agnostici che dicevano “noi stiamo per conto nostro, aspettiamo di vedere come va a finire”. Il Ten. Lanfernini fu parte del gruppo dei prigionieri “pro Badoglio” cioè favorevole a combattere i tedeschi dando agli inglesi la massima collaborazione.

“La guerra e la prigionia sono due stati straordinari che vive un uomo, stati innaturali che influiscono sia sulla vita individuale che in rapporto alle proprie famiglie. La guerra fa tante vittime ma ancor di più sono le conseguenze che crea sull’uomo e sulla sua psiche. Avvengono delle tragedie all’interno della grande tragedia”.

Dopo circa 37 mesi, il 16 aprile 1946, quasi un anno dopo la fine della guerra, rientrò in Italia. Sbarcato a Napoli, venne sottoposto ad interrogatorio da parte di una commissione d’inchiesta sui prigionieri di guerra per stabilire la loro condotta disciplinare. Il 20 aprile, dopo un rocambolesco viaggio in treno, giunse a Pesaro. Incontrò suo padre nell’ufficio corrispondenza, fu un momento molto delicato e si abbracciarono in lacrime. Ci fu un reciproco racconto della propria esistenza e suo padre entrò nei dettagli e, con molta commozione, raccontò della sua partecipazione alla lotta di Resistenza che aveva contribuito a liberare l’Italia e far sì che questo Paese diventasse di nuovo un paese democratico.

 

Il rientro a Pesaro in società fu facilitato dall’immediato inserimento nella squadra di pallacanestro e la partecipazione al campionato. Frequentò un corso di aggiornamento alla Scuola di fanteria di Cesano di Roma e poi venne assegnato al VI C.A.R. di Pesaro con il grado di Sottotenente, dove rimase per alcuni anni, fino a quando non fu trasferito a Civitavecchia per frequentare la Scuola di Guerra. Lasciò Pesaro definitivamente nel 1954 e, facilitato dalla buona conoscenza della lingua inglese e russa, assunse numerosi incarichi nazionali ed internazionali, quali: addetto militare all’ambasciata a Londra e poi a quella di Belgrado; presso la base NATO di Verona e quella di Napoli; comandante della Divisione “Folgore” e della Regione Militare Nord-Ovest, conseguendo il grado di Generale di Corpo d’Armata. Nel 1982, congedato per limiti di età, si dedicò all’associazionismo, ricoprendo la carica di Presidente della sezione di Pesaro dell’Associazione Nazionale dei Caduti e Dispersi in Guerra, impegnandosi attivamente a cercare di far riconoscere quanto dovuto ai Reduci, ai Mutilati e agli Invalidi di guerra, agli orfani e alle vedove per tutte quelle sofferenze sopportate durante la guerra per consegnarci l’Italia libera.

“La prigionia soprattutto e la guerra mi hanno insegnato e mi hanno rafforzato l’idea che il popolo italiano, se non superiore agli altri, vale quanto gli altri popoli”.