L’intervista a Renato Fontana, pesarese d’adozione, insieme al figlio Paolo, alla 2^ Edizione Mostra “Portale delle Memorie. La memoria storica della provincia di Pesaro e Urbino”
Io mi chiamo Renato Fontana.
Sono nato a Barbaresco (CN) il 18 dicembre 1924.
Chiamato alle armi nel giugno 1943 al Reggimento Cavalleria di Pinerolo (CN).
Prima dell’8 settembre del 1943 mi trovavo a Pinerolo. Ero una recluta e alloggiavo in una casa civile, un palazzo in mezzo a un bosco, un luogo meraviglioso. Quelli erano giorni incredibili: c’era da mangiare a volontà, tutto quello che si voleva. Sembrava quasi un sogno, ma durò poco. Con l’8 settembre arrivò il caos: non si capiva più niente, ognuno faceva ciò che voleva. Io decisi di lasciare Pinerolo e seguire il mio Sergente – l’unico che comandava, poiché Capitani o Tenenti non si vedevano mai, e con cui avevo stretto una certa amicizia – insieme a altri 2 commilitoni.
Prendemmo il treno dalla stazione di Torino. Ci dirigemmo a Brescia, dove raggiungemmo l’OM (Officine Meccaniche), una fabbrica di autocarri. Il Sergente riuscì in qualche modo a ottenere un autocarro OM Taurus nuovo, firmando alcuni documenti. E quello fu la mia salvezza.
Iniziammo il viaggio verso nord. Ci fermammo a dormire a Cles, vicino a Trento, dove il Sergente pagava tutto: vitto e alloggio. Poi proseguimmo fino al Brennero e da lì a Innsbruck. Qui mi portarono dentro uno stabile dove c’era la “Hitler-Jugend” (la Gioventù Hitleriana), e ci rimasi qualche giorno.
Un uomo, parlando un misto di italiano e tedesco, mi chiese se fossi io ad essere arrivato con l’autocarro. Risposi di sì e lui mi portò a Kematen, un paesino a circa 10 km da Innsbruck. Qui fui portato in un capanno militare e presentato al mio nuovo capo, un tedesco appassionato di storia antica, che frequentava spesso Roma prima della guerra.
A Kematen vivevo in una baracca di legno vicino a una fabbrica, era un distaccamento della Messerschmitt, dove si costruivano pezzi per gli aerei. C’erano parecchi lavoratori perché il fabbricato aveva 4 piani. Io trasportavo tutti i particolari che producevano con l’autocarro fino a Monaco in un magazzino, e poi andavano alla sede centrale della ditta. La mia vita scorreva così. Nei miei trasporti mi occupavo anche di portare rifornimenti alimentari per la cucina dei prigionieri di guerra, che includeva russi, americani, polacchi e altre nazionalità, che si trovavano a Kematen. Erano migliaia e questa cucina era enorme, con grandi pentole ecc.
Nonostante la guerra, io vivevo bene. Mi recavo alla stazione a ritirare le merci rubate che arrivavano dall’Italia: dolci, salati, bevande, ogni ben di dio. Facevo una vita da signore. Spesso prendevo tutto quello che volevo e lo tenevo per me. Non c’era nessuno che mi controllava e anche il mio capo mi dava grande libertà, dicendomi spesso “fai quello che vuoi”. Ero ben vestito con panni spessi perché faceva molto freddo e quell’anno il clima aveva toccato i -40°C. Non mi mancava nulla. Ci rimasi fino a marzo 1945 come autista per lo stabilimento.
Aneddoti
L’incontro con Göring
Un giorno a Innsbruck ho anche incontrato Göring. Lì a Innsbruck c’era un campo di aviazione e Göring ci era venuto insieme a un’altra persona per vedere un nuovo prototipo di aerazione. Il mio capo lo conosceva e mi portò con lui. Göring, vedendomi, chiese: “Chi è questo ragazzino?” – avevo solo 19 anni.
40 km in retromarcia
Una volta ricordo di aver fatto 40 chilometri in retromarcia con l’autocarro. Ho percorso una strada che pensavo fosse normale, ma non finiva mai ed era tutta in salita. Per quanto volessi tornare indietro e scendere con il muso avanti, era impossibile fare inversione. È stata dura un bel po’.
L’attacco aereo
Ricordo anche che la Germania in quei giorni era sempre bombardata e anche a Innsbruck c’erano sempre gli aerei che non lasciavano in pace. Io guidavo con la testa di fuori per cercare di vedere meglio perché con le montagne era facile perderli di vista e poi vederli sbucare fuori all’improvviso e in un attimo erano sulla strada. Una mattina mi sono trovato in questa circostanza e allora ho fermato l’autocarro, ho aperto lo sportello e mi sono buttato in un fosso con pochissima acqua, 1 o 2 centimetri, e ricordo che di fronte a me c’era un ramarro enorme che mi fissava immobile mentre un aereo mitragliava la strada. L’aereo è passato due o tre volte e mi ha rovinato un po’ la parte posteriore dell’autocarro ma per fortuna non è successo niente.
Con l’arrivo degli americani al Brennero, la guerra stava terminando. Cercai di tornare in Italia con l’autocarro, ma i tedeschi mi costrinsero ad abbandonarlo nel piazzale dove facevano i controlli. Proseguii a piedi verso Torino, impiegando anche più di un mese per arrivare. Fu un viaggio lungo e duro, soprattutto per trovare posto in cui dormire, ma finalmente tornai a casa.
Una volta a Torino, iniziai a lavorare per un conoscente e poi alla SIATA, una ditta che faceva lavorazioni per i motori FIAT. Sono sempre stato un meccanico e ho sempre lavorato nel settore della metalmeccanica. Successivamente passai alla Moto Alpino, una fabbrica di moto a Stradella.
Poi un giorno insieme a un conoscente andai alla Fiera di Milano del Ciclo e del Motociclo. Qui incontrai Luigi Benelli, che mi propose di lavorare a Pesaro. Sebbene inizialmente fossi riluttante, accettai dopo due mesi di insistenze. Mi trasferii nel 1955 e iniziai a lavorare nel reparto tecnico e al collaudo. Più tardi, quando Benelli si fuse con MotoBi, passai all’ufficio acquisti, dove cercavo i fornitori migliori. Al momento è stata dura lasciare gli amici, le conoscenze e tutti i legami. Ma anche a Pesaro è sempre andato tutto liscio.
Inizialmente alloggiai alla pensione Elvezia, poi trovai una stanza in via Cecchi. Fu qui che conobbi mia moglie, la nipote della mia affittuaria. Lei nacque a Tavoleto ma studiando le Magistrali si appoggiava a Pesaro da sua zia.
Ripensando alla mia esperienza durante la guerra, posso dire di essere stato fortunato. In un mondo al rovescio e in un contesto così duro, dove la gente faceva la fame, io avevo cibo, vestiti e una certa libertà. Ricordo ancora Kematen e Innsbruck come luoghi che, nonostante tutto, hanno segnato positivamente quel periodo della mia vita.