Disegno racconto de I ricordi della guerra a Belforte
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“[…] Il 3 ottobre del 1943 passarono altri bombardieri americani. […] Quando erano proprio sopra di noi, abbiamo notato che uno di questi aerei si stava muovendo troppo piano, e che lasciava una grande scia di fumo nero, infatti, a un certo punto, esplose in aria, mandando tutti i pezzi in fiamme. I piloti americani morirono tutti, erano tre o quattro. Poco dopo arrivarono anche i caccia tedeschi, che lasciavano cadere i bossoli; mia madre urlò a me e a mia sorella di correre in casa e, dalla paura, ricordo che ci paralizzammo […]”.

Grazie alla memoria della Signora V.C. e alla collaborazione della nipote L.G.

a cura dell’Istituto Comprensivo Statale “P. Volponi” di Urbino
classe 3°A media
Docente Prof.ssa Margherita Righi

per il concorso “Portale delle Memorie, dalle guerre risorgimentali alla Costituzione”

Quando è passata la guerra avevo 14 anni e trascorrevo la mia tranquilla vita di ragazzina nella casa della mia famiglia, in campagna, a Belforte all’Isauro. Lavoravamo la terra e scendevamo in paese per fare la spesa, e anche di domenica, per andare a messa. All’improvviso è arrivata la guerra e, da quel momento in poi, la nostra vita è stata per sempre segnata dalla paura.

All’inizio, accadeva che i fascisti andavano per le case a cercare l’oro. Mi ricordo di quest’episodio: c’erano tre fascisti, due di Belforte, che indossavano un berretto col pon pon, e uno di Pesaro, che vennero a casa nostra a prendere le verghette d’oro dei miei genitori. Mio padre disse loro che non gliel’avrebbe date per nulla al mondo, così i fascisti lo minacciarono, dicendogli che avrebbero fatto i conti giù in paese, ma lui, in modo coraggioso, rispose che sarebbe andato in paese a testa alta, come sempre.

Durante le prime fasi del conflitto, in campagna si stava meglio perché i tedeschi non raggiungevano le nostre parti, ma ben presto arrivarono. Ci portarono via tutto, anche i buoi e ricordo che mia mamma una volta si mise a piangere e a pregarli di lasciarli stare, ma non c’è stato niente da fare. Hanno portato via anche mio babbo, per farlo lavorare, gli facevano costruire i ponti o abbattere le piante nei punti in cui volevano passare; dalla fine di giugno, è tornato da noi i primi di novembre.

Ricordo bene che un giorno, alla fine di giugno, stava passando una camionetta dei tedeschi su di una strada di campagna, mentre tutte le persone erano nei campi a mietere quando, all’improvviso, arrivò un aereo americano, che volava molto basso e che si mise a mitragliare verso la camionetta. Tutte le persone nei campi ebbero una grande paura, ma non sapevano ancora che questo sarebbe stato il primo di una lunga serie di episodi simili, in cui, in un attimo, inaspettatamente, la vita ci passava tutta davanti agli occhi.

Un ragazzo di 21 anni, che io conoscevo bene perché le nostre famiglie lavoravano nei campi sotto lo stesso padrone, un giorno ci venne a salutare perché gli era stato comandato di partire per la Russia. Mi ricordo che era molto triste perché, in qualche modo, sapeva che stava andando incontro ad un destino tragico. Era il 1942. Aveva chiesto di poter tornare a casa, in congedo, quando era il momento di mietere, poiché per tutti noi contadini, il momento della mietitura era il più importante di tutto l’anno e tutti volevamo dare una mano. Questa cosa non è mai successa e lui non è più tornato. Poi, un brutto giorno, i Carabinieri si presentarono da sua madre per informarla che il figlio era disperso in Russia; lei si mise a urlare di dolore: sapeva che non era disperso, ma che era morto, e poi ebbe un malore.

Della mia famiglia non si è dovuto arruolare nessuno perché i miei genitori e i miei fratelli sono nati a San Marino, solo io sono nata a Macerata Feltria, prima che ci trasferissimo tutti a Belforte all’Isauro.

Il 3 ottobre del 1943 passarono altri bombardieri americani. Sono passati sopra Belforte verso le 10 del mattino, e poi sono passati di nuovo verso le 15. Quando erano proprio sopra di noi, abbiamo notato che uno di questi aerei si stava muovendo troppo piano, e che lasciava una grande scia di fumo nero, infatti, a un certo punto, esplose in aria, mandando tutti i pezzi in fiamme. I piloti americani morirono tutti, erano tre o quattro. Poco dopo arrivarono anche i caccia tedeschi, che lasciavano cadere i bossoli; mia madre urlò a me e a mia sorella di correre in casa e, dalla paura, ricordo che ci paralizzammo e che ci prese un attacco di diarrea.

Il 15 settembre del 1944 iniziò il rastrellamento da parte dei tedeschi a Belforte: i soldati passavo a prendere le persone da portare nei campi di concentramento in Germania, così abbiamo dovuto abbandonare la nostra casa e cercare rifugio nei boschi. Dentro il bosco infatti, i tedeschi non si addentravano perché avevano paura dei partigiani che vi si nascondevano. Per questo motivo molte persone vi cercavano rifugio, ricordo di un posto che chiamavamo “la tana delle volpi”.

A questo proposito, mi viene in mente una storia che ho sentito raccontare tante volte, ambientata nella macchia del Conte di Carpegna, un bosco vastissimo. Si narrava che due fascisti stavano camminando col il loro cane lupo il quale, anticipandoli col suo passo svelto, si stava addentrando tra la fitta vegetazione, probabilmente sentiva la presenza di qualcuno. Infatti c’era un partigiano nascosto. Lui sentì che i fascisti richiamavano il cane così gli diede del cibo per farlo avvicinare e, mentre il cane era intento a mangiare, l’uccise, colpendolo al collo con un coltello. I fascisti hanno continuato a chiamare ma, non vedendolo tornare, capirono e cambiarono in fretta strada.

Tre giorni dopo c’è stato l’ordine di ritrovarsi tutti in paese, e hanno tirato le cannonate dal Monte Carpegna. Una cannonata ha colpito il muro di casa di mia sorella, noi eravamo lì e mio fratello è rimasto ucciso dalla stessa cannonata e, con lui, anche una signora e suo figlio di 11 anni. Con noi si è salvato l’altro figlio della signora, di appena 40 giorni. Quel giorno non lo dimenticherò mai, era il 18 settembre del 1944, alle 10 di mattina.

Disegno bambina e militare - I ricordi della guerra a Belforte

Noi ci siamo salvati solo perché in quel momento eravamo nell’altro lato di quella casa. Poi, dopo quella prima cannonata, io sono uscita per correre a cercar riparo in un’altra abitazione e, proprio in quel momento, ce ne fu una seconda: mi ricordo che mi saltavano le schegge in mezzo ai piedi mentre correvo. Quella signora ha sofferto per almeno un’ora prima di morire, e urlava per chiederci che la uccidessimo subito, perché non resisteva dal dolore. L’abbiamo spostata in una stanza al sicuro, adagiata sulla paglia, coperta con un lenzuolo e, quando è morta, l’abbiamo portata a casa sua, dove c’erano le altre due sue figlie, di 12 e di 4 anni. Non so poi come abbiano fatto, ma so che c’era anche un’altra signora in paese che aveva partorito da poco, e che diede il suo latte anche al figlioletto della signora morta.

Due dei miei fratelli e mia sorella invece, non erano con noi in quei momenti, perché erano andati a cavare le patate nella nostra casa in campagna. Un signore di Belforte andò ad avvisarli della morte di nostro fratello e, dopo che si spostarono da lì, ci fu un’altra cannonata, che colpì proprio lo stesso campo dove, fino a poco prima, loro stavano lavorando.

Dopo la guerra c’è stato un lungo periodo di grandi stenti e di grande miseria, la guerra era finità ma la nostra sofferenza no. Oggi, vedere in televisione tutte le guerre che ancora ci sono nel mondo, mi fa rabbrividire dalla paura. Io, che ho vissuto la guerra, la fame, la miseria e gli stenti sulla mia pelle, spero con tutto il mio cuore che un periodo così non torni mai più.