Virgilio Benvenuti - Fuori dalla nebbia
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“[…] Il 30 novembre e il primo dicembre del ‘43 sono usciti due ordini di polizia urgenti in base ai quali dovevano essere arrestati tutti gli ebrei presenti nel territorio. Il pomeriggio del 2 dicembre mi trovavo in strada, all’imbrunire, verso le 18, giocavo ancora con i miei compagni quando ho visto arrivare una macchina scura. […] Sono usciti due uomini, sono entrati in casa mia e poco dopo sono usciti con mia madre in mezzo, sono saliti in macchina e se ne sono andati. Io sono corso subito dentro casa e ho visto mio padre: non so se piangeva o cosa faceva, forse era arrabbiato… da lì sono iniziati i problemi. Mia madre era stata arrestata ed era stata portata a Rocca Costanza. […]”.

Il racconto di Virgilio Benvenuti

a cura della Scuola Secondaria di I Grado “Enrico Campanini” – La Nuova Scuola Pesaro
classe II e III media
Docenti Prof.ssa Annita Filippini, Prof.ssa Chiara Maria Terraneo, Prof.ssa Letizia Maria Villa

per il concorso “Portale delle Memorie, dalle guerre risorgimentali alla Costituzione”

Buongiorno sig. Benvenuti, nella nostra intervista di oggi ripercorreremo alcuni passaggi significativi della sua storia. In una precedente occasione lei aveva detto: “Vorrei che questa mia memoria si presentasse ai giovani, noi siamo gli ultimi testimoni”. Partiamo quindi con ordine. Che cosa ci racconta? Di che cosa lei è uno degli ultimi testimoni? Chi è lei sig. Benvenuti?

Io sono del 1930, anni in cui in Italia dominava il partito fascista. Mia madre era di origine ebraica, tutti i miei parenti erano ebrei. Mia madre era insegnante elementare di ruolo nella scuola di Montegridolfo, tanto tempo fa c’era l’obbligo di residenza, quindi era obbligatorio restare nel posto in cui si lavorava, e non c’erano i mezzi di trasporto, dunque io vedevo mia madre solamente nelle vacanze di Natale, di Pasqua e nel periodo estivo.

Da piccolo prima di andare a scuola preparavo la mia cartella di fibra di cartone, il calamaio, la carta assorbente, vari tipi di pennini a seconda della scrittura…si scriveva tutto a mano. Mentre io preparavo tutte queste cose mia madre preparava la sua valigia per partire portando tutto il necessario perché sarebbe stata via per parecchi mesi senza tornare a casa. Nel 1938, a settembre, stavo facendo i miei soliti preparativi e vedevo mia madre che non preparava la sua valigia: erano uscite le famose leggi razziali che impedivano a tutti gli ebrei di esercitare qualsiasi attività. Mia madre quindi, era stata esclusa dall’insegnamento.

05-09-1938, XVI (fuori dalla nebbia)
05-09-1938, XVI
14-03-1939, XVII
14-03-1939, XVII

Oggi vorrei raccontarvi tutti i fatti che sono successi sotto la dittatura fascista, in particolare le leggi razziali. Vorrei che si facesse memoria.

La storia

Nel suo libro, Fra storia e ricordi, lei facendo riferimento alle leggi razziali del 1938 scrive: “Una mattina, d’improvviso, gli italiani si svegliarono razzisti”. Che cosa ha a che fare questo provvedimento con lei? Perché dice: “All’improvviso”?

La persecuzione contro gli ebrei è avvenuta in tre momenti precisi: il primo momento è stato quello della negazione dei diritti, a tutti gli ebrei era negata qualsiasi attività, gli insegnanti delle scuole statali di ogni ordine e grado erano esclusi dall’insegnamento; la seconda fase era quella del sequestro di tutti i beni degli ebrei; la terza fase era quella della soppressione della vita. Questi sono i tre gradi della persecuzione contro gli ebrei. A mia mamma è capitato il primo grado della persecuzione, le è stato tolto lo stipendio. Noi vivevamo in casa solo con la pensione di poche centinaia di lire di mio padre, che era un carabiniere. Ci siamo trovati improvvisamente in gran difficoltà. Per quanto riguarda il sequestro dei beni, in un primo censimento fatto a Pesaro c’è una delibera che riguarda il sequestro dei beni di tutti i cittadini italiani di razza ebraica e c’era iscritta anche mia madre, però poi hanno fatto una rettifica perché mia madre fortunatamente non era proprietaria della casa, altrimenti gliel’avrebbero sequestrata e saremmo rimasti senza niente.

Per quanto concerne il terzo passo delle persecuzioni, la “soluzione finale”, sappiamo che a settembre del 1943 parte il primo convoglio degli ebrei diretto ad Auschwitz, a ottobre avviene il rastrellamento ghetto di Roma con successiva partenza verso la medesima destinazione. Lei nel suo libro scrive: “Un tardo pomeriggio del giorno 2 dicembre 1943, quasi all’imbrunire, mi trovavo ancora in strada a giocare con i miei compagni quando davanti casa mia si fermò una macchina”. Chi c’era in quell’auto? Che cosa accadde?

Il 30 novembre e il primo dicembre del 43’ sono usciti due ordini di polizia urgenti in base ai quali dovevano essere arrestati tutti gli ebrei presenti nel territorio. Il pomeriggio del 2 dicembre mi trovavo in strada, all’imbrunire, verso le 18, giocavo ancora con i miei compagni quando ho visto arrivare una macchina scura. Strano! Le macchine a quell’epoca quasi non esistevano, era raro vederle, davanti casa mia passavano solo la macchina che portava la legna al fornaio e il carro degli spazzini. Quindi vedere questa macchina, soprattutto davanti casa mia, mi ha fatto pensare: “Che cosa succede?”. Sono usciti due uomini, sono entrati in casa mia e poco dopo sono usciti con mia madre in mezzo, sono saliti in macchina e se ne sono andati. Io sono corso subito dentro casa e ho visto mio padre: non so se piangeva o cosa faceva, forse era arrabbiato… da lì sono iniziati i problemi. Mia madre era stata arrestata ed era stata portata a Rocca Costanza. Qui c’è l’ordine di arresto [il sig. Benvenuti mostra copia del documento in oggetto] e qui troviamo l’attestato del medico curante che dichiara che mia madre è gravemente malata. Soffriva di ulcera duodenale, la vita del carcere non era compatibile con lei. Mia madre ha fatto quindi la domanda per essere liberata, è stata accettata, c’è un verbale dove si dichiara: “Il 16 dicembre, oggi Del Vecchio Valentina viene rimessa in libertà e dichiara di andare ad abitare con il marito Benvenuti Nazzareno, ex carabiniere pensionato, in via Gargattoli numero 14″.

Che cosa è accaduto dopo?

Nel 1944 noi avevamo ricevuto l’ordine di sfollamento e ci eravamo trasferiti a Villagrande di Mombaroccio. Una mattina ci siamo alzati al chiarore dell’alba e ad un certo punto abbiamo visto salire da un sentiero in fila indiana le truppe canadesi e polacche verso il paese dove noi abitavamo, ci hanno salutato e noi siamo andati loro incontro. La gente è uscita dalle case, vicino a casa nostra c’era un’osteria e l’oste ha preso un tavolo, l’ha messo in mezzo alla strada e sopra il tavolo ha messo una grande damigiana di vino per dar da bere a tutti questi soldati, mentre le donne arrivavano con gli orci con l’acqua fresca per abbeverare le truppe. C’è stata una gran festa! Le truppe sono state lì qualche giorno, piano piano i tedeschi si sono allontanati e anche i polacchi e i canadesi sono scesi per liberare la città di Pesaro, i primi di settembre del 1944. Poi siamo tornati tutti in città.

Dopo la liberazione di Pesaro non dico che ci davamo alla pazza gioia, ma c’è stato un ribaltamento assoluto della situazione, anche se ancora si soffriva la fame, perché ancora c’erano le carte annonarie, chi aveva i soldi poteva avere di tutto, chi non aveva i soldi si doveva adattare a quello che ti concedeva la carta annonaria: il pane era razionato, l’olio era razionato, il burro era razionato, il latte quasi non esisteva, perché tutto o quasi era riservato alle truppe in guerra. Io ho avuto la fortuna che il custode del cimitero ebraico era un nostro amico e aveva una mucca da latte e ci dava tutti i giorni un litro di latte, però dalla via Garigattoli dove stavo, dovevo andare tutti giorni fino al cimitero ebraico: era il mio incarico e ci andavo volentieri anche con caldo, freddo, neve, vento, pioggia, con i calzoni corti (perché a quei tempi si portavano così, io non avevo mai avuto i calzoni lunghi se non all’età di sedici anni). Dovete sapere che era tanto dura la vita in quei momenti!

A/R – andata e ritorno

Nel momento in cui in Italia furono promulgate le leggi razziali lei aveva 8 anni, giusto? Come le è stato spiegato dagli adulti ciò che avveniva? Cosa aveva capito al tempo?

Si capiva ciò che avveniva dal clima presente in famiglia, dai discorsi che sentivo, avvertivo le difficoltà, anche se ancora non avevo la consapevolezza totale di ciò che stava accadendo perché all’età di otto anni non si possono capire certe cose. Vedevo che a casa non c’era più quella tranquillità di sempre.  Ancora non si sapeva tanto, si è saputo dopo, nel corso della storia, che Hitler in Germania aveva cominciato presto con le sue leggi razziali. C’era stata la “Notte dei cristalli”, chiamata così perché tutte le vetrine degli ebrei sono state distrutte, le sinagoghe sono state bruciate, così come tutti i libri della cultura ebraica e poi c’era stata quella che è chiamata la “notte dei lunghi coltelli” dove tutti gli avversari di Hitler sono stati uccisi. Mussolini dal canto suo ha sempre detto che per lui gli ebrei non sarebbero stati un problema, che li avrebbe rispettati, però la promessa diciamo che è “andata a rimorchio” di quello che ha fatto Hitler e anche lui a settembre ha emanato le leggi razziali con le quali son stati colpiti tutti gli ebrei.

Ha mai parlato con i suoi familiari di quanto era accaduto? In che modo? Perché?

Io in casa avevo un testimone, mia mamma, e avrei voluto domandarle cosa aveva provato, come era stato vivere nel ghetto, perché mia madre nacque in via Sara Levi Nathan, nel mezzo del ghetto di Pesaro. Ma non ne abbiamo mai parlato. Dopo che la burrasca era passata mia madre non ha più voluto parlare, si è chiusa nel silenzio. Le mie conoscenze sulla condizione degli ebrei erano praticamente rimaste quelle, dopo il ritorno di mia mamma tutto era finito. Finita la guerra, tutto è taciuto, anche gli archivi erano chiusi e non accessibili a quell’epoca. Chi era stato vittima cercò di dimenticare ciò che era successo al più presto, per chi era stato carnefice meno se ne parlava meglio era. Tutti cercavano di tornare a una vita normale.

Con il passare del tempo percepivo come una nebbia, qualcosa mi tornava sempre alla mente: mia madre che era stata eliminata dalla scuola, che era stata perseguitata dalle leggi razziali del 1938, che era stata arrestata, imprigionata…. Questi erano i punti fermi che mi ricordavo e il resto era nebbia.

Tutto dunque passò nel “dimenticatoio”, fino al 2002, anno in cui c’è stata la presentazione di un libro edito dalla fondazione Scavolini che parlava della presenza ebraica nella provincia di Pesaro e Urbino. Si parlava della sinagoga, del cimitero ebraico, di come gli ebrei arrivarono a Pesaro e di tante altre cose. La parte che mi ha interessato è stata quella scritta dal dott. Andrea Bianchini, che trattava delle persecuzioni subite dagli ebrei a Pesaro. Ad un certo punto parlava di due insegnanti di scuola elementare, non specificava né il nome né il sesso, che erano stati licenziati perché ebrei. Mi è subito venuto in mente che una dei due poteva essere mia madre. Il giorno dopo allora andai a trovare il dott. Bianchini, che mi accolse ospitalmente e mi accompagnò all’archivio diocesano. Trovammo un censimento del 1848 che parlava dei miei bisnonni e un censimento del 1868 che conteneva i nomi dei miei nonni. Da quel momento ho provato a ricostruire un albero genealogico della mia famiglia.

Ha scritto anche lei un libro: ha avvertito l’urgenza di andare a scavare negli archivi alla ricerca di documenti per uscire dalla nebbia da cui si sentiva avvolto? Che cosa la spinge ancora oggi a voler scoprire di più riguardo al passato?

Tutto è partito dalla presentazione di questo libro. Da quel momento ho iniziato a voler scoprire di più così ho iniziato a fare ricerche negli archivi.

Per avere notizie precise bisogna andare alla fonte, come l’archivio diocesano, l’archivio di Stato, dove ad esempio ho trovato tutta la documentazione che riguardava mia madre, sono andato anche alla biblioteca Oliveriana, fonte inesauribile di notizie, ricchissima di documenti, c’è anche il giornale dell’epoca, al tempo del Fascismo.

A me la storia è sempre piaciuta, specialmente poi quella che riguardava la mia città e la mia famiglia, che è sempre vissuta a Pesaro. Le vicende della città erano anche della mia famiglia. Sono poche le persone che si sono interessate un po’a questa storia, le persone viventi ormai si contano sulle dita di una mano, queste memorie nessuno le scrive per raccoglierle in un libro: chi le tramanda finiti gli ultimi testimoni? Le cose vanno a finire nel dimenticatoio.

Perché secondo lei è importante studiare storia?

Perché dal passato si impara, perlomeno bisognerebbe imparare ma, vedete, anche oggi i nostri dirigenti, diciamo quelli “che hanno voce in capitolo”, non hanno capito niente della storia, perché con gli ultimi conflitti mondiali che ci sono stati sono morte tante persone, la storia non è servita a niente. Tutti vogliono la pace ma tutti fanno la guerra! L’unica persona che veramente predica la pace non è ascoltata, il papa.

Non siamo soli, anche nel male si può trovare uno spiraglio di luce, di bene e di bellezza. Lei lo ha mai trovato? Dove? In chi?

Nel periodo del fascismo e della guerra tutto il vicinato ci ha sempre mostrato solidarietà e, in generale, c’è sempre stato supporto tra porta e porta. Questo non è scontato, specialmente negli ultimi tempi della guerra in cui si soffriva veramente tanto: i bombardamenti, la fuga nei rifugi, l’andare a letto vestiti la notte perché quando suonava l’allarme toccava far presto, alzarsi e andarsi a rifugiare. Nel circondario c’erano dei rifugi che erano stati previsti dalle autorità, noi nella nostra strada ci rifugiavamo nel forno, che era in un palazzone di proprietà dei Gennari. Era un palazzone molto robusto, grande, che ci dava sicurezza. Noi nel forno oltre che protezione, trovavamo anche un ambiente caldo. Mi ricordo il primo bombardamento che è avvenuto a Pesaro: era giorno, ci siamo rifugiati dentro questo forno che nel retro aveva un giardino, allora io e altri amici della stessa strada, in attesa che suonasse il cessato allarme, stavamo nel giardino. Ad un certo punto abbiamo sentito il rumore di aerei che si avvicinavano ed erano i bombardieri alleati. Guardando in alto abbiamo visto ad un certo punto che gli aerei sganciavano le bombe, abbiamo visto cadere le bombe. Siamo corsi subito nel forno e ci siamo rintanati sotto i tavoli, ma abbiamo fatto appena in tempo a rifugiarci sotto i tavoli che il pavimento è tremato. Dopo tempo abbiamo saputo che questo primo bombardamento era avvenuto a Soria e c’erano stati parecchi morti.

In generale ho visto tanta umanità. Il pane, come abbiamo detto, era razionato: ogni volta che andavi a prendere il pane staccavano un bollino dalle tessere sanitarie, il che voleva dire che quel giorno il pane lo avevi avuto. Come fare? All’epoca c’era il bottegaio, non c’era il negozio, c’erano le botteghe dove il bottegaio faceva un po’ di tutto: generi alimentari, piccole mercerie, ecc. Nel pomeriggio mio padre mi mandava dal bottegaio di via Passeri, vicino casa nostra, a vedere se mi poteva dare oltre un pezzo di pane in più, pensava: “Vedendo un ragazzino può darsi si muovesse a compassione”. Il bottegaio si chiamava Filippo. Io andavo e chiedevo il pane: qualche volta se rimaneva me ne dava un pezzettino, per noi era come un tesoro, però qualche volta non me lo poteva dare perché evidentemente era arrivato qualcuno affamato prima di me e glielo aveva dato.

Lei oggi consegna il testimone a noi e a tutti quelli che leggeranno la nostra intervista, perché la sua generazione è ormai l’ultima ad aver vissuto direttamente gli eventi che lei ci ha raccontato. Il nostro lavoro parte adesso. Come ci consiglia di proseguire? Di che cosa dobbiamo fare tesoro?

Non dimenticate ciò che imparate, fate ricerca negli archivi perché bisogna andare alla fonte per avere notizie precise e state certi che si trova sempre qualcosa di nuovo.

“Abbiamo incontrato in due occasioni il sig. Benvenuti, ci ha raccontato molto di più di ciò che è possibile riferire attraverso questo elaborato. Ci ha mostrato innumerevoli documenti da lui cercati e fotocopiati, ci ha detto che in tutti i documenti che doveva esibire sua mamma doveva esserci scritto: “Appartiene alla razza ebraica”, ci ha parlato dell’epoca del fascismo, delle interrogazioni del federale, del giuramento al duce prima di pranzo, della campagna di Etiopia e di come questa abbia portato alla campagna per l’autarchia e all’oro per la patria (episodio per il quale la mamma di Virgilio aveva dovuto donare la propria fede nuziale), del passaggio da figlio della lupa a balilla. Ci ha raccontato di quella volta in cui un caccia è passato a volo radente sul campo che lui stava percorrendo per andare a recuperare attrezzi per costruire il rifugio, del paratifo che ha preso alla fine della guerra e della mina che ha causato al padre la perdita di una gamba. Ci ha raccontato del suo caro gatto Bianchino e degli avvertimenti che lui gli aveva dato in tempo di guerra (“stai attento e non farti prendere che qui corre voce che la gente affamata si mangia anche i gatti”). Ci ha raccontato della sua grandissima passione per il disegno e del suo incontro con il professor Gradari, di quella soffitta piena di cavalletti, colori e pennelli che a lui pareva un santuario, nonché di quel ritratto mai fatto a causa dell’ordine dello sfollamento.

Infine ci ha anticipato che sta scrivendo un secondo libro… e noi non vediamo l’ora di scoprirne di più!

Abbiamo incontrato una preziosa testimonianza storica, un uomo colto, dalla passione contagiosa per la ricerca, un esempio per tanti ragazzi.

Grazie, signor Benvenuti”