Carlo Fumelli
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“[…] …. finalmente dopo 15 mesi ho ricevuto una vostra lettera, la gioia di sapervi tutti bene è indescrivibile. Ora sono tranquillo poiché il pericolo è passato. Io al solito godo buona salute, non datevi pensiero alcuno per me, invece sono io che debbo preoccuparmi e mi preoccupo per voi poiché da lettere giunte e dai giornali sono venuto a conoscenza che in Italia mancano molte materie di prima necessità, generi alimentari, vestiario e medicinali. Infinite sono le domande che desidero rivolgervi, ma come fare ad enumerarle tutte? Come avete passato il periodo di occupazione tedesca? Siete stati molestati? Quali privazioni avete sopportato? Alberto come ha fatto a salvarsi e rimanere costì con voi? I parenti e gli amici come stanno? Voi babbo e mamma carissimi, la cara Maria ed Alberto, come state ora? L’importante è che siete salvi […]”

Il prezioso racconto di Paola Fumelli sul Colonnello Carlo Fumelli

Carlo Fumelli nasceva in Fermignano il 15 ottobre 1913, secondogenito di Indolo, proprietario terriero e futuro Podestà del paese dal 1932 al 1944, e di Elmira Zacconi, anche lei possidente, secondo la locuzione del tempo.

Successivamente al diploma, conseguito presso l’Istituto Tecnico di Ragioneria di Pesaro, l’8 novembre 1934 venne ammesso quale Aspirante Allievo Ufficiale di complemento, corso che svolgerà a Spoleto.

Inizialmente assegnato al 93° Reggimento Fanteria “Messina”, poi aggregato alla neocostituita Divisione “Metauro” mobilitata per la Libia, il 2 ottobre 1935 sbarcava a Tripoli; dopo circa un mese la Divisione rientrava ad Ancona, ma Carlo, nel frattempo promosso sottotenente con anzianità dal 29 settembre, otteneva il trasferimento in Africa Orientale, dove il 3 ottobre 1935 era scoppiata la guerra tra Italia ed Etiopia, e sbarcava a Massaua il 14 dicembre 1935, inquadrato nel XIII Battaglione Complementi, 2° Compagnia, con il quale fu impegnato in compiti di presidio e di vigilanza.

A marzo 1936 Carlo raggiungeva l’84° Reggimento della Divisione “Gavinana”, sua nuova destinazione, che il 30 marzo occupava Debarech; poi, con funzioni di copertura del fianco sinistro della colonna motorizzata “Starace”, proseguiva verso Gondar, dove entrava il 2 aprile.

Il 2 maggio 1936 l’imperatore Hailè Selassiè abbandonava l’Etiopia rifugiandosi in Inghilterra; il 5 maggio 1936 il Generale Badoglio entrava con le truppe in Addis Abeba; il 9 maggio Mussolini proclamava la fondazione dell’Impero.

Con la fine della guerra numerose divisioni metropolitane sarebbero state rimpatriate e Carlo, che preferiva rimanere in Africa, a giugno presentava la domanda per passare al Regio Corpo Truppe Coloniali (R.C.T.C.).

Al Regio Corpo T.C. venne affidata gran parte delle operazioni di polizia coloniale (in pratica operazioni di controguerriglia), dato che, nonostante la fine della guerra, non si aveva il controllo totale del territorio, immenso e in gran parte inesplorato.

I resti dell’esercito avversario, ancora numericamente consistente, era riunito in bande, alcune delle quali contavano migliaia di armati “arbegnà” (patrioti), ingrossate dagli “sciftà” (predoni), che attaccavano presidi e città, assaltavano treni e convogli, angariavano e depredavano i villaggi, soprattutto quelli che si erano sottomessi all’autorità del nuovo governo.

Carlo venne quindi assegnato alla VII Brigata Coloniale (l’anno seguente cambiò numerazione diventando la  X), XVI Battaglione detto “Nebrì” (leopardo), distaccato presso il Governatorato di Galla e Sidamo, che raggiunse il 20 settembre 1936.

Gli ufficiali dei reparti coloniali erano solo bianchi, mentre graduati e truppa erano autoctoni.

Occorre soffermarci sull’argomento “Ufficiali del R.C.T.C.” perché indirettamente si comprendono anche il temperamento e le capacità di Carlo che, ovviamente, non si ricavano dalle lettere scritte a casa se non quando comunica di aver avuto quale valutazione “ottimo con encomio”.

Delle migliaia di ufficiali giunti in Africa Orientale, ben pochi chiesero di essere destinati a tale incarico; tra questi numerosi ben presto rinunciarono per non riuscire a sopportare una vita lontana dai centri abitati, pericolosa e di grandi sacrifici (obbligati sovente a dormire in terra, nella boscaglia, nutrendosi di quel che capitava), oppure vennero rimossi per l’incapacità a gestire la truppa di colore.

Infatti il rapporto che si instaurava tra ufficiali ed Ascari era del tutto peculiare; l’ufficiale si occupava di tutto: non solo dell’istruzione e dell’amministrazione della cassa del reparto, ma anche dell’amministrazione della giustizia stabilendo le punizioni per le varie infrazioni.

All’ufficiale, gli Ascari confidavano le loro pene, i progetti, gli affidavano i loro risparmi ed attendevano da lui consiglio, aiuto e protezione. Gli confidavano anche i problemi domestici, perché si muovevano da un presidio all’altro con mogli e figli, i più abbienti anche con i servi; e quindi anche le donne ricorrevano agli ufficiali per risolvere le questioni di famiglia, per dirimere le liti con i parenti e perfino per protestare per l’infedeltà dei mariti.

Occorre sottolineare un’ulteriore particolarità: lo sprezzo del pericolo che si richiedeva agli ufficiali, tra i quali il numero dei deceduti o feriti in combattimento era di gran lunga superiore rispetto a quello delle truppe metropolitane.

Difatti, durante gli scontri l’ufficiale doveva rimanere in sella sul mulo sino a quando lo sciumbasci non lo invitava a mettersi al riparo; in caso contrario non sarebbe più stato rispettato e quindi obbedito dalla truppa.

Le testimonianze in tal senso sono numerosissime e tutte concordi, se ne cita una per tutte.

Scrive Paolo Caccia Dominioni:

Chi si trova al comando di ascari ed entra in combattimento non ha facoltà di smontare dal muletto prima di ricevere l’autorevole seppure subordinato avvertimento dallo sciumbasci, unico giudice brevettato della densità di fuoco. Intanto l’infelice comandante bianco, alto sul muletto e ben visibile per il colore della pelle, il copricapo e il luccichio del fregio, domina di almeno cinquanta centimetri le schiere degli ascari: ma deve fingere di non accorgersi, sorridere, accendere la sigaretta e dare ordini sensati.

(in “Ascari K7”, pag.150-151).

Carlo rimase con il XVI battaglione coloniale da settembre 1936 a metà febbraio 1940 e questo dimostra che era riuscito perfettamente ad integrarsi, conquistandosi il rispetto e l’affetto dei sottoposti e l’apprezzamento dei superiori.

In questo periodo partecipò ai seguenti cicli di operazioni di grande polizia coloniale:

  • dal 10 novembre 1936 al 31 marzo 1937 (Lekempti, Ghimbi, Saio Dembidollo, Gore);
  • dal 20 marzo 1938 al al 30 giugno 1938 (Iubdo e altra località illeggibile);
  • dal 1° settembre al 30 settembre 1938 (Uollel);
  • dal 1° gennaio 1939 al 5 febbraio 1939 (Uollel).

Negli anni in cui restò in Etiopia rivestì i seguenti incarichi:

–  Comandante di plotone (dal 29 agosto 1935 al 31 dicembre 1937);

–  Comandante distaccamento (dal 1° gennaio 1938 al 31 luglio 1938);

–  Comandante di plotone (dal 1° agosto 1938 al 15 febbraio 1940).

Il 20 ottobre 1939 Carlo veniva promosso Tenente con anzianità a decorrere dal 1° gennaio 1939.

Il mese successivo presentava la domanda per partecipare ad un concorso per il passaggio in Servizio Permanente Effettivo.

Il 15 febbraio 1940 Carlo si imbarcava ad Assab per rientrare in Italia, essendogli stata concessa una licenza ordinaria di 240 giorni (per ogni anno trascorso in colonia spettavano sessanta giorni di licenza); il 25 febbraio sbarcava a Brindisi, ma il 5 giugno 1940 veniva richiamato anticipatamente in previsione dell’entrata del’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, ma non tornerà in Etiopia, perché sarà destinato in Libia.

Dopo essersi imbarcato a Siracusa, raggiungerà Tripoli il 12 giugno, per poi venire assegnato al XXIX settore di copertura Nalut, 4° compagnia mitraglieri da posizione.

Il 24 giugno 1940 la Francia firmava l’armistizio con l’Italia.

A settembre 1941 Carlo fu trasferito alla Divisione “Savona”, 16° Reggimento, dislocata in Marmarica.

Durante il trasferimento per raggiungere la Divisione ebbe la notizia di aver superato il concorso per il passaggio in S.P.E., essendosi classificato 194° su 1.500 posti messi in bando.

Nell’autunno 1941 il generale Erwin Rommel, giunto con unità tedesche in Africa Settentrionale a febbraio dello stesso anno per supportare l’esercito italiano, aveva due obiettivi: rioccupare Tobruk ancora in mano inglese e, con l’arrivo dei rifornimenti, riprendere la marcia verso l’Egitto in direzione del canale di Suez; aveva fissato l’inizio delle operazioni per il 23 novembre, ma venne anticipato dagli inglesi.

Quanto al primo obiettivo, Rommel decideva una disposizione delle forze a carattere difensivo del fronte esterno della frontiera con l’Egitto e del sud marmarico, legato ai pilastri Halfaya-Sidi Omar e Bir el Gobi-Bir Hacheim, allo scopo di preservare le forze assedianti di Tobruch da eventuali attacchi inglesi sul fianco e sul rovescio; ordinò quindi di rafforzare tutti i punti critici della frontiera per creare una linea fortificata.

La sistemazione difensiva si sviluppava complessivamente per circa quaranta chilometri ove erano stati apprestati diversi capisaldi ed era divisa in due settori:

-ad est della Ridotta Capuzzo, truppe germaniche ed italiane al comando del generale tedesco Artur Schmitt, presidiavano la piazzaforte di Bardia e passo Halfaya con i capisaldi Faltembacher, Halfaya e Sollum;

-la 55° Divisione di fanteria “Savona” (inquadrata nel DAK-Deutsch Afrika Korps comandato dal generale Ludwig Cruwell e perciò alle dirette dipendenze di Rommel), che contava poco più di seimila uomini, ed alcune unità tedesche, al comando del generale Fedele De Giorgis, presidiavano i capisaldi Cirener, D’Avanzo, Cova, Frongia, Sidi Omar e, in posizione più arretrata, Bir Ghirba, sede del Comando di Divisione, nonché dei comandi di Genio ed Artiglieria ed il Centro Radio.

Il settore della “Savona”, ampio una trentina di chilometri, era il più esposto ed era a sua volta diviso in due settori reggimentali: A, tenuto dal 15° fanteria, e B, assegnato al 16° fanteria. Il primo si basava su tre capisaldi, tutti oltre confine: Cirener, d’Avanzo e Cova. Il settore B, che disponeva di maggiori forze e mezzi perché privo di un appoggio d’ala, era costituito da due capisaldi, a differenza dei precedenti compresi in un’unica cintura perimetrale di campo minato e reticolato: Frongia (o Sidi Omar Nuovo) e Sidi Omar.

Nel pomeriggio del 17 novembre 1941 e durante la notte sul 18, un violento nubifragio aveva interrotto tutte le comunicazioni tra i comandi e le unità schierate sui fronti di Tobruch e di Sollum. Inoltre la pioggia torrenziale arrecò danni ingenti alle opere difensive faticosamente approntate nel settore della “Savona”, specie nei capisaldi Cova e d’Avanzo. Tutto venne sommerso dall’acqua, distruggendo, danneggiando o disperdendo riserve, viveri e munizioni.

Sistemazione difensiva della zona di frontiera al 18-11-1941

La mattina del 18 novembre 1941 gli inglesi diedero il via all’operazione “Crusader”.

Sin dal 18 novembre il sistema dei capisaldi tenuto dalla Divisione “Savona”, ancora sconvolto per gli effetti del nubifragio, ed il settore di Halfaya sul fronte di Sollum, venivano investiti dal primo urto del XIII corpo d’armata inglese (al comando del generale Godwin-Austen), che però riuscivano a contenere.

Il 22 novembre però cadeva Frongia ed il giorno 30 gli inglesi occupavano Sidi Omar.

Nei giorni successivi, a causa degli scontri tra le forze corazzate, mai risolutivi ma che causarono la distruzione ed il logorio dei mezzi corazzati, Rommel fu costretto a togliere l’assedio a Tobruk e l’8 dicembre ordinava la ritirata su Ain el Gazala.

Lo stesso giorno, aggravandosi ancor più il problema dei rifornimenti anche a causa dell’estensione dello schieramento, il comando della “Savona” decideva di ridurre i capisaldi, dividendo i difensori tra  Faltembacher, Halfaya, Sollum bassa e Cirener, operazione che si effettuava tra l’11 ed il 13 dicembre.

Il 22 dicembre il generale Rommel comunicava al generale Ugo Cavallero, Capo di Stato Maggiore generale, che i presidi di Bardia, Sollum, Halfaya e Cirener, non potendo essere sgomberati con navi da guerra italiane, sarebbero rimasti completamente abbandonati a se stessi. Aveva pertanto ordinato ai generali Schmitt e De Giorgis di continuare l’eroica resistenza delle loro truppe, autorizzandoli però a cedere le armi a condizioni onorevoli, qualora avessero ritenuto inutile resistere ulteriormente.

Il 2 gennaio 1942 Bardia era costretta ad arrendersi e, quindi, della sistemazione difensiva alla frontiera cirenaico-egiziana, resistevano solo i capisaldi dell’Halfaya, presidiati dalla Divisione “Savona” e da un piccolo presidio tedesco al comando del maggiore Bach.

Il 5 gennaio con un dispaccio al Comando Superiore A.S., il Comando Supremo italiano escludeva di poter evacuare i difensori dell’Halfaya, assicurando però che sarebbe stato fatto il massimo sforzo per rifornirli mediante lanci giornalieri di viveri ed acqua; ma ciò non avvenne.

Frattanto dal 4 al 7 gennaio 1942, l’artiglieria e l’aviazione britannica continuavano ad effettuare violenti concentramenti di fuoco e bombardamenti aerei sui capisaldi Halfaya e Cirener. Una motovedetta britannica incrociava nel golfo di Sollum col compito di dirigere i tiri di artiglieria sui pozzi costieri e di rilevare gli obbiettivi da abbattere. I sistematici bombardamenti aerei, ripresi all’alba dell’8 gennaio, distruggevano gli ultimi pozzi rimasti efficienti ed il comando tedesco segnalava come fosse assai difficile il rifornimento per  mezzo degli aerei di una sufficiente quantità di acqua.

L’11 gennaio i britannici, dopo ripetuti attacchi, riuscirono ad impossessarsi di alcuni centri di resistenza nel caposaldo di Sollum bassa, mentre in tutte le altre postazioni del settore Halfaya venivano respinti. I violenti attacchi su Sollum proseguirono il 12 gennaio, sempre con l’appoggio di unità aeree e navali, finchè, alle ore 9 del giorno successivo il caposaldo veniva occupato da reparti sudafricani.

Il 16 gennaio il generale De Giorgis segnalava che, a causa del mancato rifornimento aereo, se durante la notte sul 17 non fossero giunti rifornimenti in quantità veramente sufficiente, si sarebbe trovato nella dolorosa ma imperativa necessità di offrire la resa agli inglesi nella stessa giornata, per non lasciar morire di fame e di sete le truppe; tanto più che la situazione igienico-sanitaria si era ulteriormente aggravata, con il rischio di epidemie: «Gli ufficiali e le truppe italiani e tedeschi, sostenuti essenzialmente dal sentimento dell’onor militare e della fede, avevano fatto quanto si poteva umanamente da loro pretendere».

Quando ancora i soldati italiani resistevano la radio inglese diramò una falsa notizia e cioè che gli italiani si erano arresi. Un aereo inglese, così ingannato, sorvolò a bassa quota le linee italiane a Passo Halfaya e fu abbattuto. Il pilota gravemente ferito venne recuperato dai nostri soldati e riconsegnato ai suoi connazionali, che si sdebitarono regalando un sacchetto di medicinali.

Intanto continuavano i bombardamenti da parte dei britannici; finchè, in mancanza di rifornimenti, con un radiomessaggio al Comando Superiore, il generale De Giorgis comunicava che alle ore 7 del 17 gennaio aveva inviato il proprio capo di Stato Maggiore a trattare la resa.

L’ultima comunicazione pervenuta da parte della Savona segnalava che gli inglesi avevano accettato la resa alle seguenti condizioni: sospensione delle azioni all’inizio delle trattative e assistenza e sgombero immediato degli ammalati e dei feriti, ma sanzionavano il fatto compiuto della distruzione delle armi pesanti, comprese le artiglierie contraeree e controcarri.

Secondo i dati segnalati a Roma il 22 gennaio 1942 si presumeva che nel settore dell’Halfaya all’atto della resa fossero presenti: 247 ufficiali e 3.572 tra sottufficiali e truppa italiani. Dal 18 novembre 1941 al 9 gennaio 1942 il presidio italiano aveva avuto le seguenti perdite: 155 morti, 367 feriti e 1.994 dispersi.

Finiva così di esistere la Divisione “Savona”, rimasta isolata quasi all’inizio di quella che viene ricordata come “battaglia della Marmarica”, dopo sessanta giorni di continui, duri combattimenti e di privazioni di ogni genere.

Carlo venne decorato sul campo con la Medaglia d’ Argento al Valor Militare per due fatti distinti, come si legge nella motivazione:

  • il primo: “Ufficiale facente parte di un reparto sopraffatto dal nemico, raggiungeva in condizioni particolarmente difficili un reparto vicino e chiedeva insistentemente di assumere nuovamente il comando di un centro di fuoco”;
  • il secondo: “Durante un ripiegamento notturno si offriva di comandare una pattuglia di retroguardia superando gravi difficoltà e, sotto violento fuoco nemico, assolveva il suo compito con audacia e sprezzo del pericolo, riuscendo ad occultare all’avversario i movimenti delle unità che effettuavano il ripiegamento”. Sidi Omar-Passo Halfaya 22 novembre-10 dicembre 1941.

Dalla dislocazione dei Reggimenti nei vari capisaldi, dalla motivazione della decorazione e da una lettera rinvenuta tra gli effetti di Carlo, si può desumere che i capisaldi nei quali operò furono Frongia, Cova ed Halfaya.

A seguito della resa della “Savona”, i prigionieri furono avviati in Egitto; Carlo veniva dapprima internato nel campo 306 vicino a Geneifa; a seguito delle operazioni di identificazione gli sarà assegnato il POW  (prisoner of war) number 335600, che lo identificherà per tutto il tempo della prigionia, senza il quale nulla si poteva ottenere e che doveva essere utilizzato invece del nome durante gli appelli quotidiani.

A marzo del 1942 Carlo venne trasferito in India; il viaggio venne effettuato via mare; per la traversata occorrevano circa due settimane, in condizioni estremamente penose e disagevoli, in migliaia ammassati nelle stive, pochi minuti al giorno d’aria sul ponte, razioni di acqua e cibo ridotte a meno del minimo indispensabile e correndo il rischio di essere affondati dai  sommergibili tedeschi.

Il porto di destinazione era Bombay, da dove i prigionieri venivano smistati nei vari campi.

Inizialmente Carlo fu rinchiuso nel Campo n.24, facente parte del IV Gruppo Campi di Clement Town.

La vita nei campi era penosa non soltanto per la mancanza di libertà, ma per le continue umiliazioni e vessazioni alle quali erano sottoposti i prigionieri in spregio alla Convenzione di Ginevra del 1929.

Ad aprile 1944 Carlo veniva trasferito al Campo 10 facente parte del II Gruppo Campi di Bhopal, città situata quasi al centro della penisola indiana sul Tropico del Cancro; i campi di prigionia erano situati verso ovest, a circa dodici chilometri in una località chiamata Bairagarh.

I Campi di Bairagarh, nonostante le relazioni negative dei delegati della Croce Rossa Internazionale che li ritenevano insalubri dal punto di vista sanitario, continuarono a funzionare sino a fine 1946.

Bairagarh nella bella stagione aveva un aspetto quasi ameno, addirittura pittoresco, ma per otto mesi l’anno era un vero e proprio inferno, a causa del caldo umido con temperature che superavano i 50 gradi, delle piogge monsoniche, delle acque che uscendo dal vicino lago invadevano il Campo, dei serpenti velenosi, degli scorpioni e soprattutto della malaria, tanto da meritarsi il nome di “Piana dell’Anofele” o di “Valle della Morte”.

Dalle lettere scritte ai genitori in questi anni, oltre allo sconforto per la situazione in cui si trovava:

30 dicembre 1942: “…. Data la mia situazione c’è poco o niente da dire, dovrei ripetervi eternamente le solite frasi di affetto, o le misure del campo col numero dei pali e di filo spinato che ci circondano, credo che non sia proprio il caso”,

emerge la continua preoccupazione a causa delle notizie sugli sviluppi della guerra in Italia, tanto più che la posta da casa non poteva arrivare:

31 agosto 1944: “…. ieri dal comunicato [manca del testo] che le truppe alleate hanno [manca del testo] Urbino ed il fiume Foglia, quindi [manca del testo] la nostra casa. Non posso e [manca del testo] immaginare le vostre ansie, privazioni, disagi e pericoli corsi. Ed ora come state, dove siete, come vivete? Come siete vissuti durante il periodo di occupazione tedesca? Tutte domande senza risposta; solo la fantasia vola, aiutata da qualche lettera giunta ai compagni di prigionia, e non sa immaginare che cose brutte. …”.

Finalmente giungono notizie rassicuranti ed i toni si distendono:

30 novembre 1944: “…. finalmente dopo 15 mesi ho ricevuto una vostra lettera, la gioia di sapervi tutti bene è indescrivibile. Ora sono tranquillo poiché il pericolo è passato. Io al solito godo buona salute, non datevi pensiero alcuno per me, invece sono io che debbo preoccuparmi e mi preoccupo per voi poiché da lettere giunte e dai giornali sono venuto a conoscenza che in Italia mancano molte materie di prima necessità, generi alimentari, vestiario e medicinali. Infinite sono le domande che desidero rivolgervi, ma come fare ad enumerarle tutte? Come avete passato il periodo di occupazione tedesca? Siete stati molestati? Quali privazioni avete sopportato? Alberto come ha fatto a salvarsi e rimanere costì con voi? I parenti e gli amici come stanno? Voi babbo e mamma carissimi, la cara Maria ed Alberto, come state ora? L’importante è che siete salvi”.

Finchè, 9 maggio 1945: “…. anche la seconda guerra mondiale è finita, speriamo che con la sua fine, almeno per qualche anno, la pace [torni] fra gli uomini, credo che ve ne sia un grande bisogno, forse tanto grande quanto quello del pane …”.

Nonostante la fine della guerra, la prigionia si protrarrà ancora per diversi mesi, come si apprende dallo Stato di Servizio, dal quale risulta che Carlo sbarcò a Taranto il 3 gennaio 1946.

Nelle memorie di molti reduci risalta lo sdegno per lo stato di abbandono in cui vennero lasciati nei campi di prigionia per mesi anche dopo la fine della guerra e per il trattamento ricevuto al rientro in Italia: erano partiti accompagnati da canti e bandiere, nel migliore dei casi rientravano ignorati da tutti, si sarebbero accontentati  solo di una buona parola, non ebbero neppure quella.

Rimpatriato dalla prigionia il 4 gennaio 1946, promosso Capitano con decorrenza  1 agosto 1944, assegnato al 6° CAR dal 13 ottobre 1946.

Trasferito al Distretto Militare di Forlì da 1 agosto 1955. Nominato I Capitano da 1 agosto 1956, frequenta la Scuola di Guerra a Cesano di Roma nel 1957.

Promosso Maggiore dal 31 dicembre 1959  e  Tenente Colonnello da 31 dicembre 1963.

Trasferito al 5° Rgt. Fanteria “Aosta” a Messina col ruolo di Comandante di Battaglione, da ottobre 1964 a luglio 1965.

Successivamente, da settembre 1965 ad ottobre 1972, assumeva la carica di Capo Gruppo Selettori a Forlì e  veniva promosso Colonnello con anzianità dal 1° ottobre 1972.

Purtroppo Carlo decedeva in Pesaro il 1° febbraio 1973, pochi mesi dopo essere andato in pensione.

Decorazioni ed Onorificenze.

  • Due Croci al Merito di Guerra (per la partecipazione ai cicli operativi in Africa Orientale), 12 aprile 1938 e 12 dicembre 1939;
  • Cavaliere dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia, 22 ottobre 1942;
  • Medaglia d’argento al Valor Militare sul campo, Sidi Omar-Halfaya, 22 novembre-10 dicembre 1941”;
  • Croce al Merito di Guerra (per la partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943), 15 novembre 1947;
  • Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per benemerenze militari, 2 giugno 1966;
  • Croce d’oro per anzianità di servizio.