1941-03-22 XIX, Cagliari - 46° reggimento Fanteria divisione Sabauda
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“[…] Giugno 1943, porto di Messina. Durante l’allarme aereo io e gli altri soldati siamo corsi verso l’autocarro che non andava in moto! Con un piccolo gruppo di Carabinieri, ci siamo diretti di corsa verso un rifugio […] proprio mentre gli aerei stavano sganciando delle bombe. Per ironia del destino, o forse perché non era giunta la mia ora, arrivato vicino all’ingresso del rifugio mi venne in mente di spostarmi in una buca. In quell’istante all’entrata del rifugio cadde una bomba che uccise, tra gli altri, anche i Carabinieri che stavano entrando. Penso di avere avuto l’angelo custode a proteggermi […]”

Il ricordo di Aldo Giacchè attaverso i racconti della figlia Silvana Giacchè

Diario della vita trascorsa da un italiano prevalentemente nel XX secolo.

Mar. Magg. C C  Aldo Giacchè (25/08/1921-18/11/2012)

Mi chiamo Silvana Giacchè, mio papà è nato ad Osimo (AN) il 25 agosto del 1921.

Mio padre lo si potrebbe descrivere come un “uomo tutto d’un pezzo”, serio e talvolta addirittura inaccessibile! 

Per molti anni in famiglia non lo abbiamo mai sentito raccontare episodi che riguardassero la sua vita, la sua gioventù, la guerra; solo in tarda età, per la precisione nel Natale 2006, all‘età di 85 anni ha deciso di regalarci un piccolo diario da lui intitolato: Diario della vita trascorsa da un italiano prevalentemente nel XX secolo”.

Scopro così che nel 1935, all’età di 14 anni mio papà era stato prescelto come “avanguardista moschettiere” per partecipare al X Campo Dux a Roma con vita sotto la tenda e successiva sfilata per i Fori Imperiali alla presenza di B. Mussolini.

“Nel periodo antecedente la guerra 1940/45, per noi giovani, (prosegue il racconto) era obbligatorio seguire le organizzazioni fasciste e quindi mi sono trovato ad indossare in ordine: la divisa da Balilla, quella di Avanguardista Moschettiere e quella di Giovane fascista! Con il sabato fascista dovevamo partecipare al corso pre-militare ed essendo stato assente ingiustificato per ben tre volte di seguito, sono stato deferito al Comando Carabinieri subendo un severo richiamo”.

Mio papà ricorda che c’erano molte difficoltà per le persone che volevano lavorare qualora non fossero state convintamente “fasciste”, infatti, ci si doveva per forza iscrivere al Partito Nazionale Fascista, come fece mio nonno paterno Giulio nel 1931, ultima data concessa.

1935, Roma - Avanguardista Moschettiere - X Campo Dux a Roma
1935, Roma - Avanguardista Moschettiere - X Campo Dux a Roma

Nel 1939, mio padre ha 18 anni e raggiunge, suo malgrado, la qualifica di Giovane Fascista. Qui ci racconta un singolare episodio: “Poiché al porto di Ancona veniva varato un cacciatorpediniere e non si avevano marinai a sufficienza da presentare alla manifestazione presenziata dal Principe Umberto di Savoia, venivo prelevato assieme ad altri miei coetanei, condotto ad Ancona ed accasermato nelle vicinanze della stazione ferroviaria. Durante la notte ci hanno portato le uniformi da marinaio e il giorno seguente abbiamo reso gli onori militari al Principe Umberto”.

Il 21 gennaio del 1941, viene invece precettato per la chiamata alle armi ed inviato al 46^ reggimento Fanteria divisione Sabauda con sede in Cagliari; durante la permanenza da gennaio a settembre del 1941 subisce i primi bombardamenti aereo navali ad opera degli inglesi.

Era difficilissimo poter lasciare l’isola e così mio padre decide di fare domanda per il passaggio nell’Arma dei Carabinieri in qualità di “carabiniere ausiliario”, domanda che fu accettata con conseguente trasferimento alla scuola carabinieri di Roma, Caserma Podgora.

Dopo tre mesi, ottenuta la promozione a ”carabiniere ausiliario”, fu trasferito a Pesaro, poiché era un bravo dattilografo e tale qualifica era ricercata, venne assunto nell’ufficio del Comando Compagnia sino all’aprile del 1943.

A Pesaro, ci racconta di avere assistito alla costituzione di una sezione dei Carabinieri mobilitata per la Russia con partenza dalla Stazione ferroviaria di Pesaro.
Era il 1942 vi era entusiasmo e molti colleghi, anche sposati, si arruolavano volontari; purtroppo, questi commilitoni, alcuni anche amici non sono più tornati!”

“Sono stato mobilitato per il fronte nell’aprile del 1943 e destinato a Messina al X Nucleo Vigilanza Porto.  In questa città si svolgeva il servizio di vigilanza al porto e ai depositi di carburante che erano situati nelle vicinanze della statua della Madonnina posta all’imboccatura del porto. Naturalmente ho assistito a tutti i bombardamenti aerei degli americani sia sulla città che sul porto di Messina. Uno di questi bombardamenti è stato il 12 giugno 1943 ed è durato circa 12 ore ad ondate successive. Gli abitanti erano sfollati altrove ma i più poveri erano rimasti in città rifugiati nella galleria S. Marta, lunga alcuni chilometri e molto sicura, in quanto posta sotto ad uno scoglio di montagna, dove ci vivevano migliaia di persone, a ciascuna famiglia era stato assegnato uno spazio sopra ai marciapiedi laterali. Nella galleria avvenivano nascite e morti, venivano curati gli ammalati, era una città sotterranea da dove si usciva tra un allarme e l’altro”.

Il racconto prosegue con un singolare episodio: “un giorno sono stato comandato di servizio alle banchine del porto e come di consueto sono stato trasportato con il solito mezzo militare, durante l’allarme aereo annunciato dalle sirene, io e gli altri soldati, siamo subito corsi verso l’autocarro, molti sono saliti ma l’autocarro non andava in moto! Io ed un piccolo gruppo di carabinieri, ci siamo decisi ad allontanarci di corsa per dirigerci verso la galleria S. Marta e giunti con la lingua di fuori, innanzi alla Cattedrale ci siamo visti passare davanti il mezzo che nel frattempo era andato in moto. Sempre di corsa, con il mitra e le munizioni appresso, siamo giunti anche noi nei pressi del rifugio, proprio mentre gli aerei stavano sganciando delle bombe.

Per ironia del destino, o forse semplicemente perchè non era giunta la mia ora, arrivato vicino all’ingresso della galleria mi venne in mente di spostarmi sulla sinistra, in una buca certamente meno sicura. Nello stesso istante all’entrata principale del rifugio cade una bomba che distrugge la protezione in cemento: lo spostamento d’aria uccide diverse persone ed anche i carabinieri che stavano entrando, penso di avere avuto l’angelo custode a proteggermi. Il giorno seguente, siccome uno dei carabinieri deceduti dormiva in una branda affianco alla mia, sono dovuto andare in un grande locale della CRI dove erano state trasportate le salme per il riconoscimento”.

I bombardamenti aerei sulla città di Messina sono proseguiti sino alla occupazione da parte degli americani avvenuta nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1943. “Venutasi a creare tale situazione e, per evitare la prigionia in Africa o in America, poiché appartenevo alla truppa combattente, assieme ad altri, decisi  di attraversare lo stretto di Messina”.

L’impresa non fu troppo facile, in quanto dovetti imbarcarmi sopra ad una zattera tedesca in ritirata! Tale mezzo venne mitragliato da elicotteri americani e rimasi ferito al gomito da una scheggia.Una volta che fummo dall’altra parte dello stretto, ci portammo lungo la ferrovia di Villa San Giovanni, con l’intenzione di raggiungere il comando della Legione dei Carabinieri di Catanzaro. Abbiamo dormito sotto le gallerie del treno perchè la linea ferroviaria era interrotta a causa dei bombardamenti, durante le soste abbiamo cucinato del pesce alla bell’e meglio che galleggiava sulla riva del mare, colpito anche lui dallo spostamento d’aria delle bombe. Dopo alcuni giorni, siamo riusciti a raggiungere il comando di Catanzaro da cui siamo stati presi in forza”.

Alla fine dell’agosto 1943 (continua a scrivere mio papà) la città di Catanzaro venne colpita nella notte da un forte bombardamento aereo, ci fu una grande confusione, la maggior parte degli abitanti cercava di allontanarsi dalla città, lasciando incustoditi negozi e abitazioni, ci furono diversi morti e feriti anche le carceri rimasero seriamente colpite e i detenuti sceglievano la libertà. Nel frattempo, le truppe alleate erano sbarcate in Calabria e avevano iniziato la loro marcia di occupazione verso il nord. 

Prevedendo una situazione sempre più precaria e considerando che dalle nostre famiglie non avevamo più notizie da alcuni mesi, decidemmo durante la notte di scappare da Catanzaro in direzione Nord. Durante il viaggio per i monti, fatto in parte a piedi e per piccoli tratti su qualche autocarro, ci siamo diretti prima a Cosenza poi a Lagonegro, e infine a Foggia, alla stazione ferroviaria semidistrutta, abbiamo trovato un treno in partenza per il nord. Una volta saliti abbiamo sentito l’annuncio che la guerra era finita!! Questo avveniva nel pomeriggio dell’8 settembre 1943.

Giunti ad Ancona, ci siamo presentati al Comando di Legione ma anche qui regnava la più grande confusione, così dopo pochi giorni ci siamo divisi ognuno diretto dalla propria famiglia.

Una volta raggiunta la mia città Osimo, riabbracciati i miei genitori, dovetti scappare subito e mi rifugiai in campagna, perché nel frattempo, gli uffici provinciali di Ancona, la Prefettura, la Questura, la Provincia, il Comando Tedesco e le organizzazioni fasciste si erano trasferiti proprio ad Osimo, e vi era il pericolo di essere catturati.

Ho trascorso quattro mesi da sbandato e poi mi sono spostato a Senigallia, i mesi passavano sempre nello stato di latitanza, ho preso contatto con i partigiani che operavano nella zona anche in considerazione della riapertura della stazione dei Carabinieri di Senigallia, una volta avvenuto il passaggio del fronte. Al passaggio del fronte, io mi trovavo a Scapezzano,  una piccola frazione vicino ad Ancona, dove vi furono episodi molto cruenti, si verificarono ripetuti rastrellamenti da parte dei tedeschi, alla ricerca di giovani sbandati per catturarli. Quando c’erano questi allarmi, io con alcuni coetanei, raggiungevamo la chiesa parrocchiale, dove alcune donne ci aiutavano a nasconderci, il rifugio era la soffitta della chiesa (praticamente sul campanile), ad allarme cessato le donne ci avvisavano.

Durante il periodo di “sbandamento “a Scapezzano, un giorno ci siamo portati nelle campagne di Ostra Vetere, in una casa colonica dove abbiamo incontrato un capo partigiano, mentre eravamo intenti a consumare un pasto finalmente degno di tal nome: tagliatelle fatte a mano insieme ad un pollo ben arrostito, comparvero due tedeschi con i loro mitra spianati, che adocchiarono subito al mio braccio sinistro il mio orologio Longines. I due mi invitarono con modi “tedeschi” a consegnare loro l’oggetto, momenti di panico e di terrore specialmente per il capo partigiano che con i piedi sotto il tavolo mi toccava ripetutamente le gambe affinchè cedessi l’orologio.

Io però non lo feci perché sapevo di avere in tasca un documento del comando tedesco di Senigallia che mi permetteva di circolare, lo mostrai ai tedeschi e i due, dopo essersi consultati tra loro, se ne andarono subito dopo senza ulteriori insistenze. Non appena si allontanarono dalla nostra vista anche noi, scampato il pericolo, fuggimmo a gambe levate”.

Il diario prosegue, siamo nell’agosto 1944, mio padre viene nominato dattilografo al Comando Tenenza Carabinieri di Senigallia, durante questo periodo matura l’idea di fare domanda di permanenza, con il passaggio a carabiniere effettivo, viene trasferito al Comando Gruppo di Macerata.

Siamo nel 1945, e mio padre partecipa al concorso nazionale per l’ammissione alla scuola sottufficiali di Firenze, frequenta il corso e nell’agosto 1946 con il grado di “vice brigadiere” viene di nuovo assegnato alla Stazione Carabinieri di Macerata.

1948, Osimo
1948, Osimo
1952, Casteldaccia
1952, Casteldaccia

Nel mese di luglio 1947 conosce quella che diventerà sua moglie, Adriana:” fu un colpo di fulmine”!

Nell’aprile 1948, riceve un fonogramma con il quale gli si ordinava di partire immediatamente, durante la notte, per raggiungere la Legione Carabinieri di Palermo, dove si andava costituendo il Comando repressione banditismo. (scrive ancora mio padre): “la mia chiamata avvenne in conseguenza di un attacco, da parte della banda “Giuliano”, alla caserma dei Carabinieri di Bellolampo, durante il quale un autocarro del Battaglione Carabinieri, che si era portato sul luogo per fronteggiare la situazione e faceva ritorno a Palermo, venne colpito da una bomba posta sulla strada e fatta esplodere a distanza. Morirono 7 carabinieri ed altri furono feriti”.

A Bellolampo non c’erano acqua, né luce, né mezzi di comunicazione, quando arrivò mio padre, la Stazione venne rinforzata con 18 carabinieri e dotata di una radio trasmittente con due operatori. L’acqua da bere e per la cucina veniva fornita da Palermo, trasportata su un’autobotte con una scorta di 8 carabinieri. Il disagio e il pericolo erano enormi! Come sentinelle si era trovato anche due cani bastardi che teneva liberi intorno allo stabile, molto utili di notte.

Dopo che furono passati alcuni mesi, presentò la domanda di matrimonio, si sposò nell’aprile del 1950, a Bellolampo non si poteva portare la famiglia e fu così trasferito alla Stazione dei Carabinieri di Casteldaccia a 20 km da Palermo, sede poco tranquilla a causa della presenza di numerosi soggetti sospettati di attività mafiosa.

Durante la permanenza a Casteldaccia dal 1949 al 1954, oltre ad aver comandato la stazione, mio papà è stato inviato per due periodi all’isola di Ustica, dove si trovavano ancora i confinati politici. 

In quel periodo, continua mio padre, avvennero numerosi gravi fatti giudiziari, uno fra tanti, un omicidio avvenuto nella piazza di Casteldaccia in un pomeriggio di una domenica estiva, durante il passeggio, si trattava di un regolamento di conti tra due famiglie. Nessuno fornì indicazioni per identificare l’autore dell’omicidio! Ci fu un fratricidio, questa volta però l’autore si presentò spontaneamente in caserma, e poi tanti altri fatti di sangue e storie difficili da raccontare che lo hanno sicuramente segnato.

Dopo cinque anni di vita a dir poco avventurosa in Sicilia, mio padre decise di fare domanda di cambio di Legione, per rientrare possibilmente nelle Marche, la cosa non fu semplice perché volevano proporgli la nomina a comandante della stazione dei Carabinieri di Bagheria, in pieno centro mafioso, due anni prima un collega maresciallo era morto ammazzato mentre era alla ricerca di  malviventi. Ottenne comunque il trasferimento ad Urbino nell’autunno del 1954, durante i 5 anni di servizio a Casteldaccia, pur svolgendo scrupolosamente il suo dovere, che consisteva anche in pesanti interrogatori ed arresti, mio padre non si è mai sentito minacciato; al momento della sua partenza, racconta, tutte le autorità locali lo vollero salutare con un ricevimento e con un articolo sul Giornale di Sicilia. 

Ad Urbino rimase sino ad ottobre 1957 quando fu trasferito a Colbordolo per comandare la stazione dei Carabinieri e vi rimase sino al 1964. Gli anni vissuti a Colbordolo trascorsero nel migliore dei modi nonostante il territorio circostante comprendesse alcuni comuni non sempre amministrati da sindaci dello stesso colore politico anzi a volte opposto. Mio padre racconta che il rapporto che aveva instaurato con le Autorità e la popolazione era all’insegna della reciproca fiducia e collaborazione essendo stato sempre al di sopra delle  parti.

Nel 1964 fu trasferito  d’autorità al Comando Legione Carabinieri di Pesaro  per costituire il Nucleo Radiomobile, rimase in servizio sino al 1970.

Mia figlia, mio marito ed io, abbiamo avuto il piacere di accogliere in casa nostra mio padre negli ultimi 8 anni della sua vita. Gli saremo sempre grati per la sua lucidità, affidabilità e discrezione, per averci aiutati a sentire con forza che senso ha avere una famiglia, con affetti che si coltivano per lungo tempo, racconti che si tramandano, riti che si celebrano assieme. Mio padre è vissuto a lungo e ci ha dato l’opportunità di vedere da vicino che cosa significa superare novant’anni, godere di tanti ricordi belli ma anche sentire il peso di quelli più dolorosi. Ci ha aiutato con il suo esempio a concentrarci su questo proposito, che è molto semplice da enunciare, per niente facile da mantenere ed essenziale per avere una buona vita: mettercela tutta ogni giorno, perchè, come si dice, potrebbe essere l’ultimo.

Concludo questa breve testimonianza riportando le ultime righe scritte da mio papà: Ho voluto mettere per iscritto  le peripezie della mia vita per far conoscere, specialmente ai più giovani, che il percorso della vita è accidentato, va conquistato con sacrificio, con umiltà e con onestà”.