Una raccolta di articoli, lettere e fotografie, condivisa dai nipoti Maria e Lorenzino, di Urbino, custodi di una preziosa memoria storica
Il Tenente Lorenzino Simondi nacque in Andorno Micca, già Andorno Cacciorna, nel territorio biellese della Provincia di Novara, il 30 agosto 1872 da Egidio, impiegato del Regio Arsenale di Torino, e Caterina Mossone di Andorno Cacciorna.
Discendente di una famiglia di tradizione militare ove, nel periodo risorgimentale, il nonno Benedetto (n.1784 presso il Regio Arsenale, da Dioniggio guarda magazzini del R.A.) fu munizioniere del Regno, dal 1814 al 1853, e congedato col titolo di Commissario d’Artiglieria presso il Regio Arsenale militare, sito nella cittadella di Torino.
Lorenzino entrò come allievo alla Scuola Militare di Modena, il 10 ottobre 1890. Soldato volontario, continuò in detta, ascritto alla classe 1870, in data 6 ottobre 1890.
Il 15 ottobre 1893 divenne Sergente nel 1° Reggimento Fanteria.
Il 4 febbraio 1894, fu nominato Sottotenente di Fanteria con anzianità retroattiva al 12 settembre 1893 e assegnato all’82° Reggimento della Brigata Torino, di stanza a Pesaro-Fano.
Fu promosso Tenente in detto R.D.8 luglio 1897.
Prestò servizio nella nostra provincia fino al 1908, quando avvenne il terribile terremoto Siculo-Calabro. In quell’occasione, con la sua compagnia, fu tra i primi soccorritori nel territorio messinese. Ricevette la medaglia commemorativa, istituita col R. D. 20 febbraio 1910 N.79, per l’opera di soccorso prestata nei luoghi devastati dal terremoto del 28 dicembre 1908.
Tra i suoi ricordi, rimangono solo poche righe nella corrispondenza avuta con Monsignor Vernarecci di Fossombrone con il quale ebbe in diversi anni rapporti epistolari e fornì un piccolo contributo alla redazione Fossombrone. Dai tempi antichissimi ai nostri.
Trascrizione della lettera a Monsignor A. Vernarecci, con riferimento al terremoto Siculo-Calabro
Rev.do Can.
Vernarecci Augusto
Fossombrone
Doveva questa mia beneaugurante un anno felice, pervenirle ai primi dello scorso mese, in epoca più opportuna perciò;
Ma altre cure ben dolorose mi tennero fino a poco fa laggiù ove pur troppo vi fu Messina! Quali orrori, quale scempio di ogni cosa ho visto! Che immensa sventura!
Tornato a Roma da poco dovetti badare a qualche faccenda di servizio che mi tenne piuttosto impegnato, ma ora, che la calma mi permette di pensare ai casi miei, faccio quanto avevo da tempo divisato di fare. Cioè inviarle un rispettoso saluto da questa Roma eterna, che tante volte mi fa pensare a Lei. Ed anche oggi nell’Aula Magna del Collegio Romano udendo l’alata parola di Corrado Ricci che diceva ad una folla di gente del come trascorse i suoi ultimi anni il gran padre Dante, mi ricordai ancora una volta di chi il chiaro conferenziere ama e stima- e non più facendo indugio invio ad esso il saluto ossequioso dall’Urbe.
Lo gradisca […], ed accetti pure un po’ in ritardo è vero, ma pur sempre ben sinceri, gli auguri di benessere e di lunga vita.
Servendole cose da qui per le quali mi ritenga capace
prego di non dimenticare il suo dev.mo ed obb.mo
S.te L.S.
Una raccolta di articoli, lettere e fotografie, condivisa dai nipoti Maria e Lorenzino, di Pesaro, custodi di una preziosa memoria storica
Il Tenente Lorenzino Simondi nacque in Andorno Micca, già Andorno Cacciorna, nel territorio biellese della Provincia di Novara, il 30 agosto 1872 da Egidio, impiegato del Regio Arsenale di Torino, e Caterina Mossone di Andorno Cacciorna.
Discendente di una famiglia di tradizione militare ove, nel periodo risorgimentale, il nonno Benedetto (n.1784 presso il Regio Arsenale, da Dioniggio guarda magazzini del R.A.) fu munizioniere del Regno, dal 1814 al 1853, e congedato col titolo di Commissario d’Artiglieria presso il Regio Arsenale militare, sito nella cittadella di Torino.
Lorenzino entrò come allievo alla Scuola Militare di Modena, il 10 ottobre 1890. Soldato volontario, continuò in detta, ascritto alla classe 1870, in data 6 ottobre 1890.
Il 15 ottobre 1893 divenne Sergente nel 1° Reggimento Fanteria.
Il 4 febbraio 1894, fu nominato Sottotenente di Fanteria con anzianità retroattiva al 12 settembre 1893 e assegnato all’82° Reggimento della Brigata Torino, di stanza a Pesaro-Fano.
Fu promosso Tenente in detto R.D.8 luglio 1897.
Prestò servizio nella nostra provincia fino al 1908, quando avvenne il terribile terremoto Siculo-Calabro. In quell’occasione, con la sua compagnia, fu tra i primi soccorritori nel territorio messinese. Ricevette la medaglia commemorativa, istituita col R. D. 20 febbraio 1910 N.79, per l’opera di soccorso prestata nei luoghi devastati dal terremoto del 28 dicembre 1908.
Tra i suoi ricordi, rimangono solo poche righe nella corrispondenza avuta con Monsignor Vernarecci di Fossombrone con il quale ebbe in diversi anni rapporti epistolari e fornì un piccolo contributo alla redazione Fossombrone. Dai tempi antichissimi ai nostri.
Trascrizione della lettera a Monsignor A. Vernarecci, con riferimento al terremoto Siculo-Calabro
Rev.do Can.
Vernarecci Augusto
Fossombrone
Doveva questa mia beneaugurante un anno felice, pervenirle ai primi dello scorso mese, in epoca più opportuna perciò;
Ma altre cure ben dolorose mi tennero fino a poco fa laggiù ove pur troppo vi fu Messina! Quali orrori, quale scempio di ogni cosa ho visto! Che immensa sventura!
Tornato a Roma da poco dovetti badare a qualche faccenda di servizio che mi tenne piuttosto impegnato, ma ora, che la calma mi permette di pensare ai casi miei, faccio quanto avevo da tempo divisato di fare. Cioè inviarle un rispettoso saluto da questa Roma eterna, che tante volte mi fa pensare a Lei. Ed anche oggi nell’Aula Magna del Collegio Romano udendo l’alata parola di Corrado Ricci che diceva ad una folla di gente del come trascorse i suoi ultimi anni il gran padre Dante, mi ricordai ancora una volta di chi il chiaro conferenziere ama e stima- e non più facendo indugio invio ad esso il saluto ossequioso dall’Urbe.
Lo gradisca […], ed accetti pure un po’ in ritardo è vero, ma pur sempre ben sinceri, gli auguri di benessere e di lunga vita.
Servendole cose da qui per le quali mi ritenga capace
prego di non dimenticare il suo dev.mo ed obb.mo
S.te L.S.
Il 1°luglio 1909, Lorenzino fu promosso Capitano e destinato all’89° Reggimento Fanteria a Genova.
Partì per la Tripolitania e Cirenaica, imbarcandosi a Napoli, il 18 dicembre 1911. Fece ritorno in Italia, il 15 dicembre 1912, dopo aver compiuto 10 mesi di campagna di Libia, sbarcando a Siracusa.
Di questa missione resta una significativa documentazione fotografica, con immagini attribuite e documentate dal Sottotenente, poi Generale di Corpo d’Armata, Dino Parri.
Il 1°luglio 1909, Lorenzino fu promosso Capitano e destinato all’89° Reggimento Fanteria a Genova.
Partì per la Tripolitania e Cirenaica, imbarcandosi a Napoli, il 18 dicembre 1911. Fece ritorno in Italia, il 15 dicembre 1912, dopo aver compiuto 10 mesi di campagna di Libia, sbarcando a Siracusa.
Di questa missione resta una significativa documentazione fotografica, con immagini attribuite e documentate dal Sottotenente, poi Generale di Corpo d’Armata, Dino Parri.
Decorato della Medaglia D’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Perché condusse con ardire ed intelligenza la compagnia al fuoco sull’attacco del Mergheb e nella successiva difesa notturna dando esempio di serenità e fermezza. Ferito alla faccia da una scheggia, non abbandonò il posto, per farsi medicare, che a combattimento finito”
Mergheb 27 febbraio e 5 e 6 marzo 1912 – R.D. 16 marzo 1913
Fu, inoltre, autorizzato a fregiarsi della Medaglia Commemorativa della guerra Italo-Turca 1911- 1912, istituita con R.D. n. 1342 in data 21 novembre 1912.
Fu nominato Cavaliere della Corona D’Italia, con Regio Decreto 31-12-1914, per l’ottimo servizio prestato e la lunga permanenza nello stesso Reggimento, contribuendo a rinforzare lo spirito di Corpo.
Il 29 marzo 1915, gli fu conferita la qualifica di 1° Capitano D.M.
Collocato fuori quadro dal 1° marzo 1915, fu successivamente posto in aspettativa per infermità temporanea.
Venne, poi, collocato a riposo e inscritto nei ruoli della riserva del Regio Esercito, con il grado di Maggiore, in data 17 giugno 1917.
Fu promosso Maggiore il 1° gennaio 1919.
«Il nostro caro nonno Lorenzino scomparse il 19 aprile 1936, in Urbino, per una breve e violenta malattia. In quel triste anno, i figli erano entrambi già partiti volontari per la campagna d’Africa (1933/34): il maggiore Egidio si trovava recluso in Kenya, nei campi di prigionia inglesi; il minore Tito (nostro padre) si trovava in servizio in Eritrea, presso la città di Massaua.»
Maria e Lorenzino
Vita privata di Lorenzino Simondi
Nel 1910, sposò, a Urbino, la signorina Maria Mazzanti Amati, figlia di Carlo e Matilde Amati Flori. Dal matrimonio nacquero due figli: Egidio (1911) e Tito (1913).
Durante la sua permanenza nella nostra provincia, nei primi anni di carriera militare, raccolse numerose memorie e minute di articoli sulla storia del territorio. Tra questi, si ricordano: Il Passo del Furlo sul quale ha pubblicato una monografia nel mese di luglio 1902; Fano e l’arco di Augusto; San Leo; Gradara; La Necropoli di Novilara, ecc. Tali scritti furono inviati e /o pubblicati su riviste dell’epoca, tra cui La Domenica del Corriere e altre.
Trascrizione della lettera da “La Domenica del Corriere”, con riferimento all’articolo inviato sulle Necropoli di Novilara
Milano 17 luglio 1906
Egregio signore,
ho letto con interesse i due scritti ma…c’è un ma. Né l’uno né l’altro sono adatti alla Domenica. Quello delle origini di Milano è troppo lungo e d’altronde ha interesse specialmente milanese. Ora la Domenica come il […] all’infuori di Milano dove va poco.
L’altro ha il danno che parla di scoperte archeologiche ed è accompagnato da fotografie tolta la memoria già a stampa da parecchi anni. Ora il programma della Domenica è: novità e curiosità. Se pubblicassi l’articolo sono certo che i soliti (benevoli) lettori scriverebbero per osservare che la scoperta delle necropoli di Novilara non sono una novità, e avrebbero ragione. S’ella fosse al mio posto farebbe altrettanto. Se sapesse a quale critica spietata andiamo settimanalmente incontro!
Ho chiesto alla Settimana e al Corriere se volevano pubblicare lo scritto di Milano, ma la prima non pubblica nulla di storia ed il secondo è affollato d’articoli di varietà.
Ma ella potrà facilmente collocare altrove i due scritti: nel Secolo XX° dei Treves, su Varietas, di Sonzogno ecc. e perciò mi […] a restituirglieli.
Con stima, e nella fiducia Ella possa trovare qualche […] più adatto a cui importa
firmato
LE GRANDI MANOVRE
(testo inviato al “La Domenica del Corriere” il 12 settembre 1906)Le ultime battute dell’ultimo segnale sono suonate finis di manovra, finis ultima per questo anno.
Cominceremo da capo l’anno venturo ma per ora alt!
È sempre con grande piacere che i soldati vedono venire l’epoca delle manovre: pare che le porte di quella grande gabbia che è la caserma si aprano e gli uccelli abbiano la loro libertà.
Una nuova vita comincia per i soldati, una vita avventurosa e di novità.
Durante tutto l’anno, dal momento che si presenta alle armi, non si è fatto altro in caserma, alle marce in piazza di armi, al poligono di tiro se non prepararlo per il momento culminante, per la guerra di oggi.
Partendo per il campo una quantità di “pro causerios” (dal francese: colloqui professionali) tra i cinguettanti uccelli che stanno per aver libere le ali: come si vivrà? Come si dormirà? E che tempo avremo? E le marce gli allarmi, gli attacchi di giorno, di notte, gli avamposti ecc. ecc. Formano l’argomento favorito di ogni discorso.
Si saluta la caserma, la camerata ospitale finora e si parte.
Molti al ritorno per poco più vi rimarranno. Saranno invece inviati in congedo. La vita di caserma, sempre la solita, i vari, i troppi servizi territoriali cui sono comandati i soldati, fanno che essi assai desiderino di andarsene ai campi, loro culla, a respirare quelle arie pure e buone che danno la vita prospera:
«solo chi ama la terra è forte!!»
Certo che non è tutta seminata di rose la strada che si intraprende…
Che calori! Che sole!
La via polverosa, stendendosi come un bianco nastro tra i campi coltivati è lunga, è lunga per il povero fantaccino che se la deve digerire tutta a piedi…son dolori! Dicono scherzosamente i più baldi al mattino presto presto (che si parte alle una alle due per risparmiar…sole).
Ma i poveretti più piccoli, più miserelli, nulla dicono e sospirano pensando a quel nastro che è si lento a svolgersi. Oh! Quante spine per quella strada! Si va benone da bel principio, ma poi quanti guai.
La marcia è greve, greve, il sole sale e scalda ahimè! Troppo scalda! A rivi corrono i sudori, la fatica è grande camminare con tanto caldo e così carichi. Non si cantano più gli stereotipati stornelli soldateschi. Si tace e colla testa fra le gambe si va, si va, allungando il collo e sospirando di giungere.
I primi a cadere sono quelli che bevono troppa acqua. L’acqua rompe le gambe! Ma è inutile dirlo, non si intende questo. Dopo vuotata la borraccia si profitta di tutte le acque che si trovano. Gli abitanti delle case prossime alle strade ove si passa procurano secchi, mastelli, o altri recipienti pieni di fresche e chiare acque:
la tentazione è immensa e il soldato colla sua fedele tazza se ne beve un sorso. Uno qui uno più in là, poi un 3° un 4° e poi chi li conta più? Amaramente li paga però, che le gambe fanno ben presto cilecca e qualcuno minaccia fermarsi. Ma è allora che la paterna sollecitudine del capitano, degli ufficiali, lo zelo dei graduati e la pietà dei compagni si fanno sentire: tutto si pone in opera per far proseguire i più deboli, per rialzar loro il morale, per toglierli alla nera melanconia che li assale. E sono le buone parole, le buone maniere le molle che spingono in avanti!
Avanti avanti che ancora non è finita la strada, la giornata di guerra! Oh! Ancora dolori….Il sole che dardeggia. Lo zaino che pesa tanto e che opprime curvandoli quei poverini. Le salite che sfiancano, la manovra che ti obbliga, correre, pattugliare, sentire, vedere, che mette in azione tutti i sensi di un uomo.
Oh! il pattugliare che compito difficile. Si parte in gruppetti d’uomini tre, cinque, poi ci si sparpaglia come grano lanciato dal vaglio. Bisogna allora diventare dei piccoli guerrieri, arditi, intelligenti, furbi, scovare il nemico che magari è lì a poco discosto, mascherato, entro nascondigli, che vi spia, che vi tien d’occhio. È compito degli esploratori codesto, di parare al gravissimo caso di un attacco improvviso. Il peggior disastro che possa succedere ad una truppa in campagna.
Il fantaccino cammina badando a tutto, prudente, e coraggioso insieme: il fucile alla mano pronto, ove di meglio non possa fare, a tirare un colpo di allarme per avvisare i suoi. Non lascia zolla inesplorata, casa, ponte, fosso, muro, siepe, dappertutto bada: egli sa che l’importanza del suo compito è grande, grande: la salute dei suoi; la possibilità con un buon servizio di scovar fuori un nemico distratto e di averne con due mosse ardite del suo partito ragione.
Oh! per l’onore della bandiera, come pulsa il cuore al soldatino, che va sudante sudante a ricercare il nemico, non si tratta ora che di manovre. Non v’è piombo nei fucili, nessuno muore, ma pur è così doloroso il farsi battere….
Oh! quando il nemico che non si riesce di scoprire, d’un tratto si palesa, fa un fuoco d’inferno poi, le artiglierie tuonano e la cavalleria carica, che dolore, dovere per ordine dei giudici di campo, tornare indietro, abbandonare il terreno fin qui nostro…
È uno sconforto che ahimè deve far ben temere di quello che sarà quando fosse guerra vera.
Invece se si vince! Che gloria…..
Vincitori e vinti ritornano poi alle tende, agli accampamenti: si va a riposare al fine dopo la strenua lotta.
Gran Dio! Non sono salottini budoir (tipologia di arredamento primi anni ‘900), quelli che si apprestano per le truppe, invece! Ma non fa nulla, un pugno di paglia sul quale ci si possa buttare dopo tanto sudare, come vien benedetto, e meglio di tutte le molli piume dell’infingardo. Mille piccole faccende occupano i soldati nell’apret diner (dopo cena), pulizia alle armi, agli arnesi, lavature, riparazione ai loro oggetti, preparazione del rancio ecc. ecc. Poi hanno ancora tempo per recarsi in giro per il paese che li ospita, trovare gli amici degli altri reggimenti, giocarsi il mezzo litro o la fojetta…
Poi a principio di notte a dormire magari in pace a due passi dal nemico per essere di nuovo lesti l’indomani presto presto a ricominciare. E assai prima dell’alba si riparte: cavalli, ciclisti, cannoni, pedoni, a cento a cento, via via a nuova pugna, a conquistare la vittoria!
Ora tutto è finito, si torna a casa, gli anziani salutano i giovani e tornano alle loro opere pacifiche; salute giovani, salute e fortuna e pensate sempre con piacere e orgoglio al periodo del vostro servizio e a queste guerre del tempo di Pace…ove fu così, pochi giorni, tanto si vive e si opera.
Trascrizione della lettera del Capitano A. Solari, 82° Fanteria, Fano, 6^ compagnia
Fossombrone, 27 luglio 1906
(convento dei Cappuccini)
Sig.Tenente Simondi,
la ringrazio delle lusinghiere notizie ch’ella mi partecipa della compagnia e me ne compiaccio seco lei che tanta parte di merito vi ha.
In seguito alla certezza della sua nomina ad aiutante maggiore le esterno di cuore il mio rincrescimento per vederla allontanare dalla mia compagnia. Io perdo un ufficiale inappuntabile sotto ogni rapporto e sommamente compito; ma purtroppo le esigenze di servizio s’impongono!
Da parte sua, son certo malgrado le nuove emozioni, occupazioni e soddisfazioni della nuova carica, non vorrà né saprà dimenticare la 6° compagnia né il suo capitano che sempre le ha voluto bene. Le auguro fortuna, e nel desiderio di vederla presto colle lasagnette (decorazioni militari) su di un focoso destriero, la ringrazio ognora della sua valida cooperazione esplicata sempre con coscienza a vantaggio del reparto in tutte le circostanze.
Stia sano e da una cordiale stretta di mano sappia interpretare i miei maggiori sensi di stima e di affetto.Suo aff. Capitano A. Solari
Mi saluti il sottotenente Casicchio
Trascrizione della lettera di Nazzareno Orazietti, Caporal Maggiore 6° compagnia, 82° Reggimento Torrette di Fano
Illustrissimo signor Tenente
Torrette, 16 giugno 1901
Perdoni s’ io mi prendo la confidenza nel rivolgere mie nuove; ma che vuole??
l’affezione che avevo preso alla compagnia, e a lei che la comandava, nel distacco mi lasciava un dispiacere nel cuore ch’io non l’avrei mai più ideato, più volte mi volli raffarmare le lacrime pensando ch’io ho finito questa vita militare ma senza però risultato di sorta; lo sfogo volle la sua parte e più volte dovetti piangere.
Creduto neppur l’avrei che trovandomi in panni borghesi non credo ancor di aver finito la vita militare perché parmi di essere qui coi miei in una breve licenza.
Ma purtroppo così non è, il debito ch’io gli dovevo alla Patria lo pagai a pari di tutti i buoni cittadini e perciò orgoglioso potrò andarmene ora vestito della divisa borghese.
Nel cuore signor Tenente terrò sempre come pegno di riconoscenza la più alta stima verso la sua persona; mi ricorderò sovente delle belle azioni che nel frattempo ch’io le fui un suo subordinato volle con affetto paterno sempre e in tutti i luoghi farmi.
Ma specialmente mi terrò sempre impresse le ultime parole che volle a me rivolgere davanti a tutta la compagnia, parole che solo un padre rivolge al figlio nel dì del distacco famigliare.
Queste parole che partirono sincere dall’animo di un buono mi faranno eco in tutti i giorni della mia vita; sempre ricorderò di essergliene vicino nel ricordarmelo.
Lasci perciò pria ancor che passi giorni che a Lei rivolga il grazie di cuore; il dovere mell’impone e non potendo altro le invio unito al grazie gli attestati della mia riconoscenza. Gli gradisca come sinceri gli manda uniti a un rispettoso saluto il suo per sempre umilissimo
Nazzareno Orazietti
Trascrizione della lettera di Emilio Solari, Capitano di Fregata, Spezia
Spezia, 3 aprile 1906
Gentilissimo sig. Tenente
Giorni or sono mia cognata mi scrisse informandomi che il medico curante le aveva dato poco rassicuranti informazioni relativamente alle condizioni di salute di mio fratello Alfredo, e mi dava qualche dettaglio relativo al genere di malattia ed alla cura intrapresa. Pur troppo qui da allora ebbi a convincermi che le cose si mettevano male e subito ne scrissi a mio Papà e ad altro mio fratello, che trovasi all’Estero.
Sarei venuto a trovare mio fratello Alfredo, ma ho avuto l’influenza, che mi ha tenuto a letto per10 giorni ed altresì non mi sono del tutto ristabilito, quindi sono sempre impossibilitato a mettermi in viaggio.
La ringrazio […] per la sua gentilissima lettera; spero e mi auguro la forte fibra di mio fratello riesca a superare il male che lo tormenta, e che […] quanto purtroppo debba farlo soffrire.
Speriamo possa darmi più rassicuranti notizie dopo il consulto con il dott. T. Pruziani: voglia ad ogni modo […] cortese di tenermi (nettamente) del come la malattia procede.
Io spero pertanto poter venire a Fossombrone e mi procurerò allora il piacere di personalmente conoscerla.
Ringraziandola cordialmente per quanto vorrà fare per tenera alto il morale di mio fratello, di mia cognata, la prego gradisca una buona stretta di mano dal suo;dev.mo
Emilio Solari
Intrattenne anche una ricca corrispondenza con l’editore e pittore inglese Mr. A. Hallam Murray. Alcune fotografie da lui realizzate furono pubblicate e il suo nome compare nell’opera di Julia Cartwright Ady (7 novembre 1851- 28 aprile 1924) Baldassarre Castiglione The perfect courtier, his life and letters 1478-1529, Londra, John Murray, 1908.