Diario più o meno storico di un guerriero moderno, Ten. Enzo Mini
Estratto dal libro ““Pesaresi nella guerra. Quattro storie di dignità e coraggio” a cura di Giuseppe Mari, ANPI Pesaro e Urbino
Da vario tempo avevo proposto una missione al di là di una importante linea difensiva tedesca; per cause varie detta missione, che mi era stata accordata, venne rimandata varie volte. Quando il fronte era poco lontano da detta linea e le truppe alleate si preparavano ad attaccarla, mi venne chiesto se ero disposto ad eseguire la missione; accettai e chiesi agli uomini della mia squadra se due di loro erano disposti a seguirmi. Tutti accettarono […]
Si trattava di sbarcare poco dietro le fortificazioni, mettersi in contatto con degli elementi di cui avevo avuto i nomi e con questi cercare di procurarsi i piani delle fortificazioni della linea. In più dovevo raccogliere varie informazioni e controllarne delle altre avute da tedeschi fatti prigionieri da unità alleate […].
Dopo avere caricato sui battelli di gomma tutto il materiale che mi doveva servire per il ritorno, ci imbarcammo e puntammo verso la costa. In meno di dieci minuti toccavamo terra in prossimità di un faro […] Dopo poche ore cominciò a fare giorno; assieme agli altri che mi accompagnavano, mi tolsi la divisa con cui ero sbarcato e indossai un abito borghese da contadino che avevo portato con me. Si sbarcava in divisa perché, nel caso di una cattura da parte di truppe nemiche, si sperava di essere protetti dalle leggi internazionali sui prigionieri di guerra […].
Giunti allo scoperto ritenni logico mandare avanti una vedetta; […] ci occultammo in mezzo ad una siepe di tamerici ed iniziammo dal nostro nascondiglio ad esplorare i dintorni. In un campo poco lontano, un contadino era dietro l’aratro e stava lavorando la terra. Questo mi stupì non poco dato che sapevo che la zona in cui eravamo sbarcati era stata sfollata al completo. Luigi partì alla volta del contadino per raccontagli una storiella che da vario tempo ci eravamo studiati. La storiella in questi lavori era una cosa indispensabile, in caso di cattura poteva servire per crearsi un alibi. Il contadino dopo aver ascoltato i fatti, le date, acconsentì ad aiutarlo a raggiungere la sua casa e a dargli da mangiare per tutto il tempo che credeva opportuno rimanere nascosto nella sua terra. Restò molto stupito quando sentì che si trattava di aiutarne non uno ma quattro. […]
Chiamati da Luigi uscimmo e ci dirigemmo verso il contadino. Questi ci fece immediatamente nascondere in un canneto e disse di aspettarlo per un po’ di tempo; al suo ritorno ci portava del pane e della frutta. Dopo essere entrato nel canneto ci disse di circolare il meno possibile perché la zona in cui ci trovavamo era sfollata e solo pochi contadini avevano avuto il permesso di recarsi per poche ore al giorno per lavorare; ci raccomandò anche di stare molto attenti di notte perché la zona era perlustrata da pattuglie nazifasciste che sparavano fra i canneti e nei fossi, luoghi che potevano servire da rifugio a quelli che volevano passare la notte lì […]
Per la mia testa passavano mille idee confuse, una però prendeva campo sulle altre. E se il contadino ci avesse denunciato? Un fatto che accadeva poco dopo sembrava darmi ragione.
Non erano passate nemmeno due ore da quando eravamo entrati nel rifugio che, poco lontano, sentivo un parlottare sommesso. Tesi le orecchie per cercare di capire in che lingua parlavano gli invisibili. Con mio grande rammarico, mi accorsi presto che gli invisibili erano gli uomini che costituivano la pattuglia germanica di sorveglianza. La conferma non tardò a togliermi gli ultimi dubbi: difatti una scarica di mitra partiva in direzione di un canneto, poco lontano da quello in cui ci trovavamo noi.
La posizione nostra non era certo delle più belle, perché non avevamo nemmeno un’arma da poterci difendere. Senza muoverci attendemmo che la pattuglia passasse.
Non si sentì più nulla. Ma non era tutto finito perché, dopo poco, ritornò e si sedette poco lontano da noi per fumare una sigaretta. […]
Provai una sensazione che mai prima avevo provato. Paura? Non lo so. Certo è che, mentre il cuore sembrava volesse uscire dal corpo, il fiato si era ostinato a non voler entrare nei polmoni.