1940-41 - Augusto Paolucci (a sinistra) a Bordeux
null

“[…] Ci hanno colpito e perdevamo nafta e loro seguivano questa scia. Insomma fino a sera, fin verso le 11 è stato un inferno, era un rosario. Alla fine qualcuno le aveva contate: erano 117 bombe di profondità lanciate, tutte che scoppiavano sempre più vicino. Di notte siamo emersi, non ci hanno visto, ci siamo scostati dalla costa e loro durante la notte hanno smesso di darci la caccia. […]”

Sul sommergibile nel fondo, Augusto Paolucci
Estratto dal libro
““Pesaresi nella guerra. Quattro storie di dignità e coraggio” a cura di Giuseppe Mari, ANPI Pesaro e Urbino

Pesaresi nella Guerra - Copertina libro

Ti dirò della battaglia di Orano, con i francesi e gli inglesi.

Siam partiti da Napoli per ispezionare una certa zona e anche per attaccare qualche piroscafo; una missione che è durata 5-6 giorni.

Una sera, quando eravamo in zona siamo emersi per prendere aria e caricare le batterie. In tempo di pace quando si è alla fonda di notte ci sono le luci di posizione a prora, a poppa e sulla torretta; in tempo di guerra invece queste luci devono essere spente. Quella volta quando siamo saliti, il Comandante ha ordinato “spegnere le luci!“. Di sotto l’elettricista, non sapendo che luci doveva spegnere, ha spento tutto; era sparita anche la luce al timone. “Maledette mani, accendere le luci!“: era un accendi e spegni.
È andata bene per noi: siccome in quella zona c’erano i pescherecci, quando una nave da guerra chiede una segnalazione, forse lo facevano con questo fraseggio di luci, accendere e spegnere. Il comandante sopra continuava a gridare “maledette mani, accendere le luci!“. Di sotto hanno capito e hanno acceso ma solo le interne, non più quelle esterne. Questa segnalazione, forse captata da qualche nave da guerra, corrispondeva alle segnalazioni dei pescherecci, così ci hanno lasciato perdere.

Siccome al giorno forse ci avevano avvistati, alla mattina ci siamo subito immersi e aspettavamo di attaccare se c’era qualche passaggio di nave, o aspettare la notte per attaccare. Ad un certo momento arriva una torpediniera avversaria, inglese o francese; no francese non era perché la Francia si era già arresa ai tedeschi.

Le navi da guerra francesi che erano a Orano, a Biserta cercavano di guadagnare il porto di Tolone che non era stato preso dai tedeschi. Alla mattina, questa nave nemica ci ha localizzato con gli scandagli, così han cominciato a buttar giù le bombe di profondità.

Eravamo al largo di Orano, forse un 15km dalla costa; queste bombe di profondità scoppiavano sempre vicino a noi e siamo scesi a 120 metri; però ogni tanto si sentivano anche i rampini come quelli che usiamo noi per tirar su gli orci dal pozzo: se il rampino si ferma da qualche parte, allora buttano lungo il cavo la bomba, se no localizzano i metri di profondità. Per fortuna questi rampini non ci hanno presi; si sentiva “ti-ri-tin, in coperta, di là e di qua”. Noi avevamo due funi lunghe per l’antenna radio e poi c’era il portello, tra questo e quell’altro, insomma, ci potevano agganciare benissimo. Però le bombe scoppiavano a 30-40 metri, dentro era un disastro, spostamenti di qua e di là; le torpediniere poi erano due che si incrociavano, si sentivano bene; poi quando ci arrivavano sopra buttavano giù ‘ste bombe.

Ci hanno colpito e perdevamo nafta e loro seguivano questa scia. Insomma fino a sera, fin verso le 11 è stato un inferno, era un rosario. Alla fine qualcuno le aveva contate: erano 117 bombe di profondità lanciate, tutte che scoppiavano sempre più vicino. Di notte siamo emersi, non ci hanno visto, ci siamo scostati dalla costa e loro durante la notte hanno smesso di darci la caccia.

[…] tu hai avuto due momenti critici nella vita del sommergibile: primo la battaglia di Orano nel corso della quale vi sono state lanciate addosso 117 bombe di profondità e con le sgomento di questi rampini che cercavano di arpionarvi e che rappresentavano morte certa; il secondo dell’incagliamento a capofitto nell’Atlantico durante una prova di immersione. Lo stato d’animo qual era? A cosa si pensa?

Tieni coto che, per esempio, quando ci eravamo incagliati non si poteva comunicare con l’esterno perché per farlo bisognava raggiungere almeno la quota periscopio; al di sotto di questa quota eravamo isolati dal mondo. Ti viene in mente…fai un giro d’orizzonte su tutto quanto. Più di tutto però si pensa a poter uscire. Di pensieri ne vengono tanti, è difficile anche ricordare. Quello che ti balenava davanti e che ti chiedevi: ce la facciamo? D’altra parte la respirazione diventava difficile per carenza di ossigeno, quindi “stiamo tranquilli il più possibile“.

La torretta del sommergibile Barbarigo (sul quale era imbarcato Paolucci) in navigazione sull'Atlantico
La torretta del sommergibile Barbarigo (sul quale era imbarcato Paolucci) in navigazione sull'Atlantico
1939-02 La recluta Augusto Paolucci (in basso a destra)
1939-02 La recluta Augusto Paolucci (in basso a destra)