Giuseppe Frascella
Giuseppe Frascella
null

[…] 15 novembre 1939, all’età di 19 anni, fu arruolato in Marina a Taranto sull’incrociatore Zara. Nell’estate del 1940, prende parte alla battaglia navale di punta Stilo e assiste al bombardamento di Taranto (noto come Notte di Taranto) sferrato dagli inglesi nella notte tra l’11 e il 12 novembre del 1940. La prigionia inizia in seguito all’affondamento dell’incrociatore Pola (Battaglia di Capo Matapan) e ai soccorsi, ai quali nonno prese parte, a sud dell’isola di Creta. Nonno racconta di essere rimasto circa 6 ore in acqua, poi salvato dagli inglesi, dopo aver visto morire gran parte dei suoi compagni annegati o divorati dagli squali. Da lì fu portato prima ad Alessandria d’Egitto, scampando anche ad un bombardamento tedesco diretto alla nave inglese che trasportava i prigionieri italiani, poi al Cairo in un campo di concentramento dove rimase circa 6 mesi […]

La testimonianza di Marco, in ricordo di suo nonno Giuseppe

Mamma, mi avete sempre detto che il nonno Giuseppe è stato prigioniero di guerra tanti anni in Africa: ma abbiamo qualcosa di suo, tipo foto, lettere, etc al riguardo?

sì, abbiamo alcune foto e dovremmo avere anche una audiocassetta in cui lui, verso la fine degli anni 80, ha registrato alcuni racconti del periodo della prigionia

Racconto di guerra di Peppino
(titolo della cassetta, calligrafia di mia nonna)

Così mi appresto a premere PLAY, non ascoltavo una cassetta da una vita. E adesso ascolterò una vita in una cassetta. La vita di mio nonno in quegli anni assurdi e terribili della seconda guerra mondiale.

Voce limpida e sicura, mezzo italiano e mezzo dialetto.

Incrociatore Zara

Incrociatore Zara

Inizia subito con nomi e date: 15 novembre 1939, all’età di 19 anni, si arruolò in Marina a Taranto, sull’incrociatore Zara.

Nell’estate del 1940, prese parte alla battaglia navale di Punta Stilo e assistette al bombardamento di Taranto (noto come Notte di Taranto), sferrato dagli inglesi nella notte tra l’11 e il 12 novembre del 1940.

La prigionia iniziò in seguito all’affondamento dell’incrociatore Pola (Battaglia di Capo Matapan) e ai soccorsi ai quali nonno prese parte – soccorsi che, sottoposti a intenso attacco, furono quasi tutti affondati – a sud dell’isola di Creta.

Nonno racconta di essere rimasto circa sei ore in acqua e di essere stato salvato dagli inglesi, dopo aver visto morire gran parte dei suoi compagni, annegati o divorati dagli squali.

Da lì fu portato prima ad Alessandria d’Egitto, scampando anche a un bombardamento tedesco diretto alla nave inglese che trasportava i prigionieri italiani; poi al Cairo, in un campo di concentramento, dove rimase circa sei mesi.

Se gli inglesi, tutto sommato, si comportavano civilmente con i prigionieri, lo stesso non si poteva dire degli australiani: nonno racconta di maltrattamenti e percosse con baionetta ai prigionieri che mostravano segni di stanchezza durante i lavori forzati, e di rancio pessimo.

Da lì venne spostato in Sud Africa (Durban e Pretoria), dove rimase circa due anni e mezzo. Il clima era freddo a 2000 metri di altitudine. Nonno racconta di aver visto e saputo di alcuni italiani morti colpiti dai fulmini.

Trovò posto nelle cucine e la prigionia trascorse relativamente tranquilla: riuscì a informare la propria famiglia di essere vivo soltanto un anno dopo l’inizio della prigionia. Ogni tre mesi circa riceveva dall’Italia un pacco con cioccolata, lamette, saponi, fichi secchi e biscotti.

Dal Sud Africa venne spostato in Nigeria, dove rimase altri due anni e mezzo. Lì iniziò a soffrire di forti emicranie, acuite dal sole e dal clima equatoriale. I prigionieri vivevano con la costante paura di malattie (malaria) e animali pericolosi (serpenti e scorpioni). Racconta di essersi affezionato e di aver preso con sé una piccola scimmietta, che restò con lui, come animale “domestico”, per tutto il tempo della prigionia.

Una sera, racconta, gli inglesi arrivarono tutti eccitati dai prigionieri, dicendo che la guerra era finita perché l’America aveva sganciato l’atomica in Giappone, e che il Giappone si era arreso. Gli dissero che di lì a poco sarebbero stati rimpatriati.

Eravamo tutti insieme, inglesi e italiani, ci eravamo affratellati: festeggiavamo…bevi tu, bevo io, bevi tu, bevo io!

Tutti ubriachi, italiani e inglesi. Mi andai a sdraiare in un prato, e in cielo quella sera vidi due lune…perché ero ubriaco marcio!

Il 20 settembre del 1945 fu il giorno dell’imbarco per il rimpatrio in Italia. Nonno racconta di aver sofferto perché gli fu negato di portare a bordo una pistola che gli era stata regalata da un inglese e, soprattutto, la sua adorata scimmietta.

Il 10 ottobre fece ritorno a Taranto (cantieri Tosi). Quando sbarcarono, furono scambiati per inglesi, perché gli inglesi avevano dato ai prigionieri italiani le loro divise. Gli venne detto che poteva andare a casa, ma con l’obbligo di tornare dopo qualche giorno in caserma per la “discriminazione” – ovvero, spiega il nonno, per raccontare come era stato trattato durante la prigionia.

Tornato a casa, gli fu detto che uno dei suoi fratelli, nel frattempo, era morto, mentre inizialmente non riconobbe l’altro fratello, che all’inizio della guerra era appena adolescente.

I vicini di casa, dopo averlo festeggiato, chiesero se sapesse qualcosa dei tanti ragazzi che non avevano fatto ritorno a casa: mio nonno, anche se di alcuni sapeva che erano morti in mare o in prigionia, decise di non dire nulla, per lasciare loro la speranza di un ritorno e perché non se la sentì di dare la tremenda notizia.

Alla fine della registrazione, mio nonno e mia nonna cantano l’inno nazionale.

Quella che ho raccontato è solo una piccola parte di tutto quello che ho visto e che è successo durante la mia prigionia: se avessi raccontato tutto, non sarebbero bastati tre nastri interi…altro che uno!

Giuseppe Frascella, mio nonno materno, nato a Taranto il 04 dicembre 1919 e deceduto a Taranto il 14 gennaio 2005.